L’International
New York Times di ieri ci ha aggiornati su uno dei contenuti del G7 che sono
stati posticipati dall’agenda. Si tratta della trattativa Ttip (Trade and
Investment Partnership).
Si pronuncia
TEE-tip ed è un negoziato praticamente segreto che è stato annunciato due anni
fa. Da allora nove rounds si sono susseguiti e oggi se ne stanno occupando
anche il Congresso degli Stati Uniti e il parlamento tedesco. In Italia invece
è un tema pressoché sconosciuto dal cicaleccio mediatico.
Ed è un vero
peccato perché su quel tavolo si sta ridisegnando la globalizzazione, ovvero il
futuro commerciale della generazione entrante. La stessa Euronews ha dato conto
degli accordi firmati tra UE e CELAC (Latin American and Caribbean Community)
ma non dello spostamento del tema in agenda G7.
Penso che l’articolo
sia concepito più per spiegare il motivo del rinvio agli americani che agli
altri paesi perché siamo in una fase di grandi accordi commerciali e quello cui
Obama tiene di più non marcia.
L’articolo pertanto
enfatizza le difficoltà della Merkel nei confronti del Ttip e lancia un
implicito allarme verso i populismi che agitano l’Europa.
A suo tempo
Angela Merkel fu una sostenitrice del trattato. L’economia del suo paese
infatti è trainata dalle esportazioni e ne beneficierebbe. Ma dall’anno scorso
i sondaggi indicano una opinione pubblica ostile in crescita e questo proprio
in Germania molto più che nel resto della UE.
Coloro che propongono il trattato promettono
che esso incrementerà gli scambi commerciali di almeno tre miliardi al giorno
attraverso la rimozione delle barriere e col rafforzamento della leadership
occidentale sul commercio mondiale.
Ma i
cittadini europei vedono invece la parte oscura; temono che gli interessi dei
consumatori, dei produttori locali e delle piccole imprese vengano calpestati
dalle multinazionali che uscirebbero rafforzate dal patto. Inoltre una spinta
ad uniformare le regole tra USA ed Europa avrebbe come risultato una diffusione
dell’American-style a scapito dell’ambiente, della salute e della privacy. In
una recente manifestazione a Berlino ad esempio, il pezzo forte di Campact era
una sbuffante imitazione dello spray erbicida della Monsanto, gigante
agrochimico americano.
Vengono
quindi indicate l’organizzazione Campact e il suo leader Kolb come fattori di
persuasione anti Ttip.
Il gruppo
attivistico di Kolb, che si chiama appunto Campact, si avvale di uno staff
professionale di tre dozzine di persone e dispone di un budget di poco
inferiore a sei milioni di euro all’anno. Ha già un milione e seicentomila
membri, usa i social e cresce organizzando manifestazioni. Campact, il cui nome
deriva dalla combinazione delle parole “campagna” e “azione” ha già raccolto
oltre due milioni di firme su una petizione che si oppone al trattato.
Ovviamente
Campact si dichiara non contraria all’America, ma solo contro l’influenza delle
big corporations. Il suo approccio vuole offrire ai cittadini che ritengono di
non avere sufficiente voce in capitolo la possibilità di farsi sentire
attraverso Internet e di canalizzare il loro sostegno in una potente e pacifica
protesta.
E’ ancora
presto per poter dire che gli sforzi di Campact metteranno a rischio l’Accordo,
ma al momento la situazione sembra stare dalla parte di Kolby.
Il giovanotto
dev’essere però molto più temuto di quanto non traspaia dal contenuto dell’articolo.
La sua foto, seppur con espressione aggressiva, appare infatti in prima pagina.
E' interessante anche notare come il termine "populismo" una volta usato dalla sinistra contro la destra, sia oggi invce usato contro i movimenti antiglobal.
Mai dire mai.
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