Cento anni fa Gorizia veniva bombardata nell’ambito delle
operazioni per la battaglia dell’Isonzo. Si tratta della quarta tra le undici
offensive ostinatamente volute da Cadorna nell’illusione di arrivare presto a
Trieste e di lì al cuore dell’impero: “Saremo
a Vienna per Natale” disse il Gen. Porro.
Il Corriere della Sera, nel suo sforzo propagandistico, non
trovò di meglio che ricorrere alla pubblicazione di una intervista raccolta a
Berlino da un giornalista americano. In tale intervista l’arciduca Giuseppe
esprime apprezzamenti per la qualità dei nemici, cioè i soldati italiani.
L’articolo esplicita fin dal titolo il proprio intento
puramente retorico:
“Stupendo omaggio dal
campo austriaco all’eroismo delle truppe italiane”
Quell’articolo, apparso Domenica 21 Novembre 1915, contiene
alcuni passaggi dell’inviato nei quali vengono descritte le condizioni del
campo di battaglia, vale la pena ricordarle:
“Da due settimane è
piovuto a torrenti. Nella bassura lungo l’ISONZO vi è un mare di fango che
sovente giunge all’altezza dei fianchi dei soldati mentre le trincee tagliate,
forate meccanicamente nella roccia o prodottevi per mezzo di mine lungo le erte
pendici, si trasformano durante i diluvi in veri torrenti di montagna. E’
contro questo caos che le batterie italiane pesanti grandinano dalla pianura
proiettili e shrapnels dando alle alture e alle trincee l’apparenza di vulcani.”
E ancora, più avanti, sulla difesa di Gorizia:
“La chiave non soltanto
di Gorizia, ma dell’intera fronte austriaca dell’ISONZO è il Monte San Michele…
Ad ora incredibilmente mattutina … ci recammo verso le pendici ripide del San
Michele, parte delle quali erano ricoperte da un macabro tappeto di cadaveri in
stato di decomposizione.”
Più avanti l’inviato americano chiede all’arciduca, (il quale
in quei mesi dirigeva dal comando generale tutte le operazioni del fronte
isontino), “come combattono gli italiani?”
ottenendo la seguente risposta (così tradotta dal corrispondente italiano
Stefani):
“Dapprima sembravano timidi,
ma ora combattono bene; ogni giorno sempre meglio. Avanzano con tremendo
slancio. L’impeto loro è assai maggiore delle cariche russe; ma se resistiamo
alla prima scossa, gli italiani tornano indietro, mentre i russi avanzano lentamente,
ma persistono sinché non sono falciati dal fuoco. Il temperamento e l’impulsività
degli italiani si rivelano dal loro modo di combattere.
Gli assalti sono quasi
sempre eseguiti da truppe fresche. Quelli che hanno fatto la carica e sono
stati respinti vengono inviati dietro la fronte dove hanno modo di riposarsi.
Questo è un sistema che Cadorna può mettere in pratica perché dispone di un
numero di truppe tre volte superiore al mio. Io, disgraziatamente, non posso
imitarlo”.
L’epopea relativa alle battaglie svoltesi su questo monte è
entrata nella letteratura postbellica grazie ai versi di molti soldati poeti;
innanzitutto Ungaretti il quale paragona la Pietra del San Michele fredda, dura
e disanimata, al proprio pianto per concludere che “La morte si sconta vivendo”.
Anche il poemetto di Vittorio Locchi Sagra di Santa Gorizia, famosissimo tra i reduci del primo
dopoguerra, descrive efficacemente la mota rossa delle pietraie seminate di
morti che “guardano il cielo sotto la
pioggia, sotto la bora”.
Non v’è dubbio che leggendo le memorie dei protagonisti,
dotti o non dotti che fossero, ma certo capaci di scrivere, vi fu abnegazione
ed eroismo tra le truppe, ma eravamo ancora nella fase iniziale di una tragedia
che solo su quel monte produsse 112 mila caduti italiani morti o feriti nel
tentativo di conquistare il monte.
Dall’ottobre del 1915
fino all’Agosto del 1916 – scrive Marco Mondini nel suo bel libro sui luoghi della Grande Guerra - il
Monte San Michele fu preso e ripreso cinque volte: alla preparazione della
artiglieria italiana, che poteva durare ore o giorni seguiva l’immancabile
balzo delle fanterie che espugnavano la cima. Il giorno dopo, o anche con un
intervallo di poche ore, gli austro ungarici tornavano all’assalto,
travolgevano immancabilmente gli italiani esausti e riprendevano possesso delle
proprie posizioni.
Una “sanguinosa giostra
impressionante” che il comandante Giuseppe Personeni ci ricorda nel suo
libro “La guerra vista da un idiota”
uscito nel 1922, con le seguenti parole:
“I migliori soldati
dell’esercito erano sciupati in attacchi inutili che non avevano altro compito
che di mostrare al nemico che gli italiani sapevano morire.”
Ecco qundi il vero senso delle citazioni riportate nell’articolo
del Corriere della Sera del 21 Novembre del 1915.
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