Il Fatto Quotidiano del 20 Novembre, in occasione del settantesimo
dall’inizio del processo di Norimberga (1945), ripubblica un
eccellente articolo di Massimo Fini che era già uscito su L’Europeo il 6
settembre 1986.
In tale articolo Fini esamina criticamente la validità reale,
nei suoi termini storico-giuridici, di tale “processo” e produce argomentazioni
che trovo assolutamente valide e condivisibili.
...
Con i processi di Tokio e Norimberga i vincitori, per la
prima volta nella storia, giudicarono i vinti. Ma chi ha dato loro tale
diritto?
A pochi giorni dall’inizio del processo, il 1^ Dicembre del 1945, il
settimanale The Nation pubblicava le
riflessioni di un illustre penalista americano (Rustem Vambery) il quale
osservava che con quei processi venivano reintrodotti principi e nozioni
discutibili come la retroattività, la presunzione di reato futuro, la
responsabilità collettiva di gruppi politici o razziali ecc. che nella storia del
Diritto penale erano stati progressivamente esclusi con lungo travaglio.
Benedetto Croce in un successivo discorso presso l’Assemblea Costituente, aveva
parlato di “tribunali senza alcun fondamento di legge” e Massimo Fini commentando
tali osservazioni precisa che non si mette in discussione la “potestà dei
vincitori di punire i vinti” bensì la pretesa di farlo nel nome del diritto.
Il fatto è che il processo di Norimberga, a giudizio di Fini,
fu una “creatura largamente americana” e ne esprime “tutta la strisciante
ipocrisia”. Con esso infatti venivano scardinati fondamentali principi come la
irretroatività della legge penale, ovvero il principio in base al quale nessuno
può essere punito per fatti commessi quando non erano considerati reati, e
inoltre si faceva coincidere il diritto con la forza, quella del vincitore.
Per capire il fondamento di questa critica occorre ricordare
che i capi di imputazione mossi a giapponesi e tedeschi non preesistevano al
processo; essi sono: “cospirazione contro la pace”, attentati contro la pace e
atti di aggressione” e poi “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”.
… … …
E’ curioso osservare che tali accuse, se applicate al
contesto delineato dal film SPECTRE nelle sale in queste settimane, sono
pienamente ascrivibili al potere illegale sovranazionale ivi rappresentato e
impegnerebbero pertanto le potenze giudicanti di Norimberga a perseguirlo,
giudicarlo e punirlo.
Forse è proprio per questo che la cultura ipocrita dominante
espressa quotidianamente nel mainstream mediatico nega sistematicamente l’esistenza
di una SPECTRE. Quando non si vuole perseguire un reato la strada principale da
seguire è quella di negarne l’esistenza.
Quando in Italia non si voleva perseguire la Mafia la classe
dirigente (dai vescovi ai politici) ne negava l’esistenza. E lo stesso vale per
la corruzione e il mercato illegale di armi.
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