Sul trattato nucleare con L’IRAN Furio Colombo esprime
un’opinione usando la sua rubrica sul Fatto Quotidiano del 17 Luglio u.s.
Egli prende spunto dalla lettera di un lettore filoisraeliano
che si chiede cosa ci sia di buono anche per chi filoisraeliano non sia: perché
accettare che ci sia un paese atomico in più?.
Egli parte richiamando le contraddizioni di un’area ove l’islamismo
più combattivo, scrive Furio, vince facilmente le elezioni democratiche ma poi
mette la sharia (che democratica non è). Nella foga adombra una legittimazione del
golpe egizio (quello di Al Sisi) che avrebbe riportato la democrazia. Il regime
militare infatti ci offre una immagine di affidabilità ed affinità tenendo a
bada il terrorismo. Poi passa all’IRAQ, un paese che funzionava impedendo l’espansione
iraniana e contenendo lo scontro continuo tra sciiti e sunniti, ma a causa di
Bush non funziona più. L’Arabia saudita è estremista nella religione e nel
costume, ma è alleata moderata nella politica esterea degli Stati Uniti. Il
Libano non è più soggetto alla Siria, ma rischia il ricatto di Hezbollah mentre
la Palestina è in disputa tra l’estremismo laico di Hamas e quello religioso
dello Stato Islamico. Israele invece è un paese di tipo occidentale a struttura
democratica.
Quindi passa al giudizio sull’accordo cogliendone la doppia
connotazione di inclusività e controllo. Inclusività perché porta l’IRAN tra
gli “amici dell’occidente” e controllo perché limita la libertà di azione di un
paese potente. Ma Furio non crede molto all’amicizia iraniana e teme che duri
poco, così come crede poco anche nella sua reale moderazione rispetto alle
spinte islamiste. Perciò giustifica le preoccupazioni di Israele e arriva a
concludere che quell’accordo allarga anziché restringere il conflitto dell’area.
Mi pare che, ferma restando ogni libertà di opinione, Furio
rilanci il proprio sentimento, notoriamente filo israeliano, offrendoci una
versione moderata della strenua opposizione di Netanyahu. Una opposizione pregiudiziale
ed estremistica che disconosce il grande passo avanti geopolitico rappresentato
da quest’accordo.
Gli articoli di Massimo Calabresi e di Joe Klein su TIME n.20
Luglio 2015, offrono invece una lettura molto più ottimistica. Evidentemente l’intellighenzia
statunitense dopo oltre sei anni di Obama si sta smarcando dall’influenza
israeliana più di quanto non avvenga nella sinistra italiana.
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