E’ il titolo di un commento di Gianni Oliva, autore di varie
ricerche storiche tra cui la recente “il tesoro dei vinti”
che condivido integralmente.
In sintesi Oliva fa il punto sulle celebrazioni del
settantesimo della Resistenza. Modesto bilancio e modesta visibilità, conclude,
soprattutto in confronto al Centenario WW1.
La memoria, dice, si va esaurendo perché dura lo spazio di una
generazione. Quando scompaiono i protagonisti scompare anche la narrazione
popolare. Oggi il ricordo dell’11 Settembre comincia a superare quello dell’8
Settembre anche nelle famiglie.
Ma il venir meno della “memoria” non fa venire meno la “storia”
e su questo piano i nodi restano. Occorrono quindi indagini senza velleità
celebrative e occorre chiedersi – onestamente direi – perché la vulgata è sopravvissuta
così a lungo.
Dopo il ’45 ci siamo immaginati come un popolo di vincitori
mentre eravamo un popolo di sconfitti che aveva scatenato la guerra accanto ad
Hitler. E per rimuovere il senso di colpa abbiamo fatto dell’8 Settembre la
cesura tra due italie narrando la Resistenza come un alibi assolutorio: la storia
precedente l’armistizio è stata rimossa e il territorio peninsulare narrato è
stato ristretto al Centro Nord partigiano.
Così abbiamo perso per strada la corresponsabilità della classe
dirigente col fascismo, la guerra di aggressione ’40 – ’43, i crimini contro i
civili nei Balcani e in Grecia.
Insomma non abbiamo fatto i conti con la nostra storia e la
proposta celebrativa si è rivelata sterile. Ma bisogna proprio ripartire perché:
“La risposta a tanti
dubbi sull’approssimazione morale dell’oggi sta anche nelle assoluzioni troppo
facili di ieri.”
E bravo Gianni Oliva.
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