I vaccini sono un gran passo avanti nella storia della medicina e nel benessere dell’umanità. Inoltre, anche se questa considerazione non viene spesso riportata, proteggono le merci, le giacenze nei porti e il valore assicurato.
L’idea del vaccino, ci spiega Matteo Sacchi nel suo libretto edito da IL GIORNALE, nasce soprattutto
nell’ambito della lotta al vaiolo. Esso costituiva una minaccia antica e
gravissima per l’umanità. Ce ne sono tracce fin dalle mummie egizie. E’
devastante. E ancora nel XVIII secolo uccideva una media compresa tra il 20 e
il 60 percento degli adulti infettati e addirittura l’ottanta percento dei
bambini infettati. E tutti gli infettati portavano i segni delle vescicole.
Da notare che questi dati sono riferiti a popolazioni
euroasiatiche le quali, convivendo da secoli col virus, avevano in qualche modo
sviluppato anticorpi. Diversamente, ci ricorda sempre Sacchi, per Maya, Aztechi
ed Incas quel virus fu una ecatombe. In trent’anni la popolazione del Messico
si ridusse da 25 milioni a sei.
Nel 1377 dopo l’esperienza della peste, nel porto di
Dubrovnik venne adottata la misura di appartare in luogo isolato per almeno
trenta giorni i nuovi arrivati. Nasce così la prassi profilattica nota come
“quarantena”. Bisogna però aspettare il 1718 affinché essa diventi
significativamente efficace. In tale anno la pace di Passarowitz rafforzò il
ruolo degli austriaci nei Balcani e la pratica di mettere in quarantena le
merci iniziò a consolidarsi stabilmente. La prima risposta storica ai rischi
pandemici fu quindi questa, appunto, della quarantena, ma essa aveva il solo effetto
di contenere il rischio, senza però eliminarlo. La seconda invece fu il
vaccino.
In Cina, India e Turchia era presente fin dal X secolo la
consapevolezza che coloro i quali erano già stati contaminati dal vaiolo non ne
erano più soggetti. Ed esistevano alcune pratiche, peraltro totalmente prive di
ogni base teorica, di incisione ed inoculazione. Ma è nel settecento che inizia
la elaborazione di prassi profilattiche vere e proprie. Il primo è Emmanuel
Timoni, un greco laureato a Padova, il quale descrive il metodo della
variolizzazione. Da esso ne traggono i Gesuiti praticando le profilassi (molto
approssimative) in America Latina. Altro impulso alla diffusione del metodo
presso l’alta società europea fu dato da Lady Mary Wortley Montagu la quale inoculava
virus letali causando un buon due percento circa di casi mortali. (Una
incidenza all’epoca considerata quasi miracolosa, ma che oggi sarebbe
catastrofica). Il metodo comunque approda alla Royal Society di Londra e, sotto
stimolo del fatto che nel 1721 a Boston arrivò una nave che portò un morbo
talmente violento da superare la quarantena, appaiono nei decenni successivi i
primi lavori scientifici, in particolare An
Inquiry into the Causes of Variolae Vacciniae di Edward Jenner del 1798.
Tale saggio non è il più importante, ma è quello in cui appare per la rima
volta il termine Vaccino.
La data definitiva in cui possiamo collocare l’adozione
ufficiale della pratica della vaccinazione arriva quindi nel 1798, alla fine
del diciottesimo secolo dopo un lungo periodo di studio sperimentale in
Inghilterra. In Francia Napoleone rende obbligatoria la vaccinazione per il suo
esercito e, nel 1802 è la volta della Prussia con la creazione, a Berlino, del
Reale Istituto per la Vaccinazione contro il Vaiolo.
In soli dieci anni i casi annuali di vaiolo in Inghilterra,
ci ricorda Sacchi, passarono da diciottomila a duecento.
Nel 1844 la vaccinazione viene resa gratuita e nel 1853
viene resa obbligatoria per i bambini fino a tre anni. Multe per i
trasgressori. Gli oppositori si organizzano. Nel 1867 il Governo inglese vara
un’apposita legge per reprimerli e di fatto vara, in senso giuridico, il
concetto secondo il quale chi non vaccina i figli mette a rischio la salute
pubblica e perciò va aspramente sanzionato. L’operazione però non ha un gran
successo anche perché la “Anti-Compulsory
Vaccination League” la mette giù dura con manifestazioni anche violente. Il
risultato, secondo Sacchi, è un ritorno del vaiolo nel 1871 con 20 mila morti.
Una commissione scientifica parlamentare affrontò il
problema e dopo sette anni ribadì il valore della vaccinazione raccomandando
però due cose: un miglioramento della qualità intrinseca dei vaccini e il
superamento del metodo “da braccio a braccio” al fine di evitare la trasmissibilità
di malattie secondarie. Infine nel 1898 venne varata la legge che contempla
anche il diritto alla “obiezione di coscienza”.
L’opposizione di tipo biblico-religioso, quella fondata cioè
sul concetto che Dio punisce il peccato con le malattie ed è meglio lasciarLo
fare, (guai a corrompere il disegno divino) era stata forte soprattutto nelle
colonie britanniche mentre nel Regno Unito prevalevano quelle “scientifiche”. Tra
queste Sacchi segnala i lavori della Florence Nightingale, studiosa di
statistica sanitaria, secondo la quale le malattie derivano da miasmi tossici e
per fermarne la diffusione serve in realtà igiene, aria pulita, acqua pura,
dieta adeguata, fognature, luce e calore. Nobili argomentazioni il cui
presupposto scientifico oggi però non è più valido: molti virus si trovano
benissimo anche all’aria pura.
Ma questo è noto solo oggi.
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