Il 9 marzo del 1766 usciva The
Wealth of Nations del filosofo economista scozzese Adam Smith. Nell’Inghilterra e nella
Scozia di quegli anni nascevano le prime forme di industrializzazione e questo
suo lavoro influenzò notevolmente molti pensatori del secolo successivo tra quali
Carlo Marx.
Costui però partiva dalla tesi sulla
progressiva miseria del proletariato mentre nella “Ricchezza delle Nazioni”
Smith individuava una tendenza opposta; ed aveva ragione. La stessa formula
della prima Internazionale, che chiamava i proletari di tutto il mondo ad
unirsi perché “non avevano da perdere che le proprie catene” verso la fine del
secolo era già superata dai fatti. Già qui a Valdagno gli operai di Marzotto
avevano una casa, una famiglia e un orticello da coltivare dopo l’orario di
lavoro. Certo il lavoro in fabbrica era duro, ma non era più quello
dell’Inghilterra descritta da Engels. Inoltre dalle mie parti verso la fine del
secolo la concezione del lavoro industriale degli operai si combinava con la
nuova dottrina sociale della Chiesa. Una chiesa che faceva proprio il dramma
degli operai e della società e, pur ribadendo la proprietà privata dei mezzi di
produzione, sosteneva l’utilità dell’intervento dello Stato ed invitava
all’associazionismo per ottenere migliori condizioni.
A sua volta ciò si sposava con il liberalismo
moderato di Gaetano e di Vittorio Emanuele Marzotto determinando un certo modus
vivendi tra fabbrica e città destinato a rafforzarsi notevolmente nel secolo
successivo.
Attraverso questa storia sono passati i miei
nonni e i miei genitori. Io sono stato il primo a non lavorare da Marzotto e a
beneficiare nello stesso tempo dei servizi sociali da costui creati (maternità,
scuole ecc.) Sono stato sindacalista perché avevo mangiato pane e sindacalismo
in casa fin da bambino e sono stato comunista perché pensavo, ingenuamente, che
quello fosse un modello ancora migliore, senza i difetti che avevano reso dura
la vita di mio padre e mia madre. Ma poi la storia si è incaricata di mostrarmi
che non era vero, che si soffriva anche di là e che forse si era anche meno
liberi di scegliere come organizzarsi la vita.
Oggi compio settant’anni. Sono
già quattordici di più di quelli che è riuscito a vivere mio padre. Non
parliamo di mia ladre che è morta a trentotto anni d’età. Ho una dignitosa
pensione, due case, due garage, due auto, una moto, una bicicletta elettrica,
tre televisioni eccetera; certo, purtroppo sono vedovo, ma ho una figlia e
(voglia iddio) una nipotina entrambe sane e bellissime. Di cosa potrei
lamentarmi?
Forse del loro futuro, accidenti,
temo che non avranno il mio benessere. Forse questo benessere si è retto finora
su un indebitamento insostenibile. Qualcosa che pagheranno proprio loro. E
forse ciò è il risultato di un sistema di credito incontrollato alla produzione
e al consumo voluto dal capitalismo proprio per evitare il crollo dell’intero
sistema. Quel crollo del capitalismo dovuto alla caduta tendenziale del saggio
di profitto preconizzata da Marx e teorizzata da Lenin e la Terza
Internazionale… Forse proprio lo stesso dramma della Covid19 che stiamo vivendo
in questi giorni è una enorme operazione di copertura del vero crollo
finanziario globale; un dramma globale al quale si sta cercando di contrapporre
un Great Reset che copra il fallimento di sistema.
Mah, non lo posso escludere. Non
so se farò in tempo a vedere questo futuro con la sua “nuova normalità”. Ma so
che sarà per mia figlia e mia nipote il loro presente e non voglio che sa
infelice. Le statistiche sulle speranze di vita della mia generazione dicono che
forse lo vedrò, ma spero di non dover vedere anche un regresso dello stile di
vita per la mia nipotina. Sarebbe una infelice conclusione. Infelice e anche
ingiusta per una generazione come la mia che ha sognato, lavorato, amato e
lottato per una società giusta, egualitaria e solidale. Un avvenire di sole, il
sol de l’avvenir.
Buon compleanno.
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