In queste
settimane di campagna referendaria ho cercato di osservare il comportamento delle
parti. Mi pare di poter cogliere una prima tendenza comune: poco merito e molta
empatia. Le informazioni sul merito possono risultare difficili e anche noiose
per cui si picchia di più sull’empatia verso Renzi (sia pro che contro), sulla “riduzione
delle poltrone” e sulla necessità di cambiare le cose.
L’informazione
sul merito è stata centrata soprattutto sui contenuti già esposti nel titolo
della legge. Dalle file del NO sono
state promossi dei ricorsi contro il quesito ritenuto di fatto uno spot
elettorale per il SI. Ma queste iniziative si sono rivelate controproducenti perché
il quesito non riportava il titolo della legge in modo scorretto e se il titolo
non fosse andato bene avrebbe dovuto essere il dibattito parlamentare a suo
tempo a modificarlo. Quindi il titolone/quesito da taglio populista è passato
ed ha rappresentato una mossa efficace per il Si.
Il
focus del dibattito è stato il tema dell’accentramento e della
personalizzazione. Ne parlano sia quelli del SI, argomentando che su materie come
l’energia, la sanità ecc. l’accentramento dà risparmio ed efficienza, sia quelli
del NO argomentando che così si riducono gli spazi democratici e non si colgono
le differenze. E sulla personalizzazione il dibattito è falsato dal fatto che
essa dipende soprattutto dal tipo di legge elettorale. Ma così sono stati
tralasciati altri temi importanti come, in particolare, la marginalizzazione
delle opposizioni, la clausola di supremazia e alcuni aspetti considerati
ingiustamente dei dettagli come la dichiarazione di guerra.
Il
primo aspetto viene colto da Zagrebelsky che ne parla nelle pagine 70 – 75 del
suo libro.
La riduzione
dei seggi operata dalla riforma altera, ovviamente, i rapporti numerici tra
maggioranza e opposizioni in parlamento, ma con essi altera anche i rapporti di
forza. A parità di risultato elettorale infatti la maggioranza diventa più
schiacciante. Per l’elezione del Presidente della Repubblica ad esempio, che
avverrà in seduta comune Camera e Senato, passando gli aventi diritto da 1008 a
730 la percentuale di maggioranza passa dl 33,7% al 46,6.%. Ciò comporta che all’inizio,
quando sono richiesti i due terzi dei componenti, basteranno 485 voti e alla
fine, dopo il settimo scrutinio, ne occorreranno 400 (formando una maggioranza
del 54,8 %). Inoltre, osserva Zagrebelsky, il nuovo ordinamento farà
riferimento, dal settimo in poi, ai “votanti” anziché ai “presenti” agevolando
i tatticismi parlamentari, che sono l’esatto contrario della trasparenza. “In estrema ipotesi” dice Zagrebelsky a
pg 72, “poiché gli organi parlamentari
operano come minimo alla presenza della metà più uno dei componenti, sarebbero sufficienti i tre quinti dei 366 votanti,
vale a dire 220 consensi.
Questo per il Presidente della Repubblica, ma in
altri casi come il CSM considerando che al Senato il partito che ha la
maggioranza alla Camera potrebbe avere la metà dei senatori, si potrebbe
avverare il caso in cui la maggioranza può procedere da sola.
Ora, in
questo quadro di alterazione degli equilibri numerici, le materie di competenza
di entrambe le camere vengono ridotte. E si arriva all’estremo che la stessa
dichiarazione di guerra, oggi competenza di entrambe e camere, verrebbe in
futuro decisa dalla sola maggioranza assoluta della Camera ovvero, Italicum
docet, dal primo partito da solo. Questa cosa, mi sovviene, non se la poterono
permettere neanche il primo ministro Salandra e il Re d’Italia per entrare
nella Prima Guerra mondiale.
E inoltre, art. 60, durante la guerra si potranno
rinviare le elezioni con legge ordinaria (316 voti).
Antica
saggezza veneta:
chi gà più bò, tira fora el caro.
(la
maggioranza è sempre prepotente)
roba vecia more solo in casa de cojoni.