Durante l'estate del 1962 nello Juke Box della Piscina Lido (quella scoperta)
spopolava ancora una melodia orchestrale dal sapore intenso e drammatico che mi
faceva sognare e rimpiangere sogni infantili. Quella musica era Exous di Ernest Gold famosa
come colonna sonora del film omonimo uscito l’anno precedente.
Il film aveva riproposto Paul Newman come modello di
bellezza maschile ma soprattutto presentava Israele. Questa parola in noi
evocava soltanto qualche imprecisa reminiscenza biblica ma il film, alquanto
didascalico, la cui sceneggiatura riprendeva un romanzo del 1947 che era
servito a sostenere la nascita dell’omonimo Stato, era netto: Until I die this land is mine. Con esso
le comunità filo israeliane facevano circolare tra gli ambienti della diaspora
un messaggio di combattimento per quella terra.
Un irrefrenabile moto sodale pervase l’animo della mia
generazione.
Occorre osservare che ogni sentimento filo ebraico che, guai
dimenticare, era stato assente e anche dolorosamente rimosso dalle menti dei
nostri padri, si diffondeva in quei mesi nei nostri cuori tanto velocemente
quanto acriticamente difronte agli occhi di Paul Newman e alla voce di Pat Boone.
Quelle note e quelle parole riproposte varie volte in un ritornello
“espressivo e doloroso”, tracciarono la linea dello schieramento: gli ebrei
sono i buoni e i nazisti i cattivi. E i nostri genitori probabilmente si
vergognavano. I miei non sapevano cos’era successo, mio padre era stato
prigioniero in un’isola greca in attesa di una liberazione dagli alleati
tedeschi, ma quando vide finalmente gli stukas bombardare l’isola si chiese
perché mitragliassero anche i soldati che portavano la divisa italiana.
Lo capi
solo quando ritornò a Valdagno e vide i suoi amici più giovani nascondersi sui
monti scappando proprio dai tedeschi e dalle brigate nere. Ma degli ebrei non
mi aveva mai parlato. Non sapeva niente. Neanche mia mamma che aveva studiato
un po’ più di lui; per lei gli ebrei erano quelli che avevano mandato a morte
Gesù. Nent’altro.
Così il seme filoisraeliano nacque dentro di me; e germogliò
durante quegli anni di scuola quando tutte le classi vennero portate a visitare
la mostra sulla shoah organizzata nei locali del Centro Ricreativo per
Assistenza dei Lavoratori Marzotto. Immagini agghiaccianti in bianco e nero, coi
prigionieri seminudi e scheletriti venivano mostrate a giovani impreparati. Ma
servivano a capire il processo e l’impiccagione di Eichmann.
Quel seme era scora vivo quando la mia generazione cominciò
a chiedersi nei primi anni settanta cos’era l’OLP e chi fosse Arafat, ma solo
chi fu disposto a “diventare comunista” cominciò a chiedersi come mai nel film
Exodus, che aveva visto dieci anni prima, la causa palestinese fosse assente. In
quel film di grande successo infatti ciò che risultava inesistente come popolo,
ovvero il palestinese, era stato ridotto a qualche comparsa di second’ordine.
Allo stesso modo oggi nessuno ricorda quel film; rimosso per
i suoi significati oggi scomodi.
Exodus infatti era una nave di migranti che volevano
approdare in una terra il cui governo di allora, provveditorato britannico, non
voleva. Ma quella sera al cinema Rivoli tutti applaudimmo quando gli ebrei
sbarcarono. Anche quelli che oggi applaudono Salvini quando nega la medesima
cosa agli africani.
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Rem tene,
verba sequentur. – Suum cuique
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