Rileggo l’articolo apparso giovedì 9 u.s. su FQ PG 22.
A firma Vinis Gallico, redattore che incontro per la prima
volta, viene pubblicata un’ampia paginata con foto dedicate alla biografia di
ELIZABETH WURTZEL. Costei, ebrea newyorchese nata nel 1967, è deceduta il 7
gennaio a 52 anni. Cancro al seno. Ma è nota in occidente per aver scritto un
best seller durante gli anni dell’università divenuto molto famoso: PROZAC NATION.
Si tratta di un testo
autoanalitico scritto con toni ironici e leggeri, che indaga la propria
depressione. Esso corre lungo le linee della relazione esistente tra letteratura
e depressione incontrando biografie illustri come Sylvia Plath e Bob Dylan. Il
tema è noto e ci ricorda Mark Twain, Charles Dickens, William Faulkner e Joseph
Conrad. Sconfina nelle biografie di mostri sacri alla Edgar Allan Poe e Hermann
Melville fino ai più recenti Isaac Asimov e Stephen King. Tutti autori
depressi.
L’articolo poi ci ricorda che il contributo della Wurtzel è
stato quello di percepire e segnalare il passaggio dalle terapie
psicoanalitiche a quelle farmacologiche con l’avvento della Fluoxetina (cloridrato)
e più tardi del metilfenidato. Con essi la depressione passa dal lettino delle
sedute al principio attivo. E ciò, aggiungo io, ha contribuito a fare la
fortuna dell’azienda chimica di sintesi della quale sono stato dipendente per
oltre tre decenni.
La presa di coscienza di questo passaggio è stata gestita in
modo ovattato e privo di ogni eclatanza polemica in Italia. Basti pensare che il
testo della Wurtzel porta nel titolo, con i suoi milioni di copie, il nome del
problema: il Prozac. Ma in Italia esso è stato tradotto per i tipi della
Rizzoli solo due anni dopo col titolo: “La
felicità difficile”. Sic. Sarebbe come se IL NOME DELLA ROSA fosse stato
pubblicato nel mondo anglosassone con un titolo tipo: omicidi in convento,
oppure Cristo si è fermato ad Eboli come: “abitazioni nelle grotte del materese”,
o meglio ancora FICTIONES, di Borges titolandolo: “raccontini fantastici di un
biblioteconomo”.
Eppure l’editoria italiana è questo. Ma non solo l’editoria,
un po’ tutto il sistema: mai disturbare il manovratore e soprattutto onorare e
proteggere il culto di San Pharma. Cosa questa che prosegue ancor oggi a tutto
spiano con la campagna vaccinite e la ridicolizzazione dell’approccio olistico.
I padroni del nostro pensiero nazional popolare sono in realtà dei banalissimi
maggiordomi dello zio Sam.
Ma tornando alla Wurtzel costei nel 1998 pubblicò un secondo
libro: Bitch. Totalmente ignorato in
Italia. E ancora nel 2001 More, Now,
Again che tratta, ahimè, il tema della dipendenza da Ritalin. Silenzio totale.
Ormai oggi siamo alla terza generazione della prozac nation.
Tra i nostri nipotini molti nascono già dipendenti dai farmaci ricevuti nell’ancestro
e la cronaca ci inonda di casi incomprensibili come quello di Bibiano. Buon
anno Italia, Buon 2020.
Nessun commento:
Posta un commento