“Avanti popolo con fede franca bandiera bianca trionferà”
E’ il
motto che si trova scritto sul settimanale vicentino IL POPOLO, organo della
Azione Sociale Cristiana domenica 2 Maggio 1920.
Cento anni fa non era facile celebrare il Primo Maggio perché
gli scontri politici avevano un altro linguaggio: quello della violenza. Cento anni
fa eravamo al centro del biennio rosso durante il quale l’opzione di “fare come
la Russia, chi non lavora non mangerà” era una possibilità che appariva concreta
agli operai e ai contadini, e anche ai padroni che di questa eventualità
avevano il terrore.
Noi vicentini ne abbiamo un grande esempio in ciò che
accadde a Brendola dove ci furono cortei di lavoratori diversi e alternativi
tra socialisti e cattolici. Alternativi allora significava uno scontro anche
armato gli uni contro gli altri e in questo caso i cattolici si erano appena
organizzati nel Partito Popolare, e avevano le armi nascoste nella canonica di
Brendola. Il fatto che rende importante quell’episodio è che in questo caso le
usarono. E uccisero il militante socialista Giuseppe Busato.
La vicenda è raccontata in modo egregio, con ricostruzioni
basate sui documenti, da un discendente di quel Giuseppe Busato detto Peo, ricostruzione
che si può trovare nel libro LA STAGIONE DI PEO, di Francesco Busato
Il fascismo abolì la festa del Primo Maggio per decreto il
19 Aprile 1923 accorpando la celebrazione del lavoro alla festività del 21
Aprile denominata Natale di ROMA. Antonio Gramsci, nei suoi quaderni che
scrisse dal carcere ove scontava il reato di essere comunista, derise tale
festività.
La festività del lavoro, che resiste in tutto il mondo anche oggi, nonostante il crollo del comunismo sovietico, fu ripristinata nel dopoguerra quando, dopo la caduta del regime fascista, venne varata una Costituzione che proclama l'Italia una Repubblica fondata sul lavoro.
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