Cento anni fa Valdagno era pienamente coinvolta nel clima di
guerra e si dava da fare per l’assistenza civile e la solidarietà coi soldati
al fronte.
La scrittrice Annalisa Castagna, esperta in WW1, in un suo articolo del 2008 scrive che “la città, come tante altre realtà italiane, cercava di attivarsi per i suo figli, in guerra e in prigionia, attraverso dei comitati nati appunto per alleviare la pena di chi si trovava al fronte e per dare a chi si trovava in prigionia la speranza di riabbracciare la propria terra”.
Di quella attività proprio in questi giorni cominciavano ad
arrivare i primi riscontri. Bairati nel suo libro “il filo di lana” racconta ad esempio che il 15 Ottobre 1915 il valdagnese G.V. (potrebbe benissimo essere
uno dei tanti Giuseppe Visonà) esprime riconoscenza verso il “nobile comitato” per il pacco ricevuto.
Esso conteneva un berretto, un paio di guanti, un paio di gambali e un paio di
calze.
Il 19 Maggio del 1915 (5 giorni prima della entrata in guerra
dell’Italia) era nato il Comitato di Assistenza Civile, diretto da esponenti
delle eminenti famiglie valdagnesi quali: Marzotto, Dalle Ore, Zanuso, Gajanigo
ecc. Esso aveva per iscopo, come recita l’articolo 2 dello Statuto, di mitigare
i danni causati dalla guerra, in particolare l’assistenza alle famiglie dei
richiamati, l’assistenza ai soldati, l’assistenza ai prigionieri e ai profughi.
Tale comitato assunse in sé anche il compito di Ufficio Notizie, che fece da tramite tra le famiglie e lo Stato per le informazioni in particolare sui dispersi e prigionieri.
Tale comitato assunse in sé anche il compito di Ufficio Notizie, che fece da tramite tra le famiglie e lo Stato per le informazioni in particolare sui dispersi e prigionieri.
Le donne confezionavano guanti di lana, passamontagne,
sciarpe e coperte. Queste venivano inviate a Vicenza e quindi al fronte.
Il ministero della Guerra aveva in proposito emanato precise
disposizioni sulle caratteristiche e i modelli di sciarpe e guanti, mentre per
i prigionieri esistevano circolari restrittive sul tipo di beni da spedire. Il
criterio ispiratore del ministeri della Guerra a proposito di prigionieri si
dimostra alquanto sospettoso.
Mentre la Francia organizzava treni speciali scortati con
viveri e vestiario, l’Italia emetteva circolari che limitavano la quantità di
pane da spedire, imponeva l’uso delle tessere, vietava la spedizione di scarpe
di cuoio e precisava che l’invio di latte condensato era permesso solo per i prigionieri
degenti negli ospedali.
L’unica cosa non regolamentata per i prigionieri era il
tabacco.
Il risultato fu che i prigionieri italiani morti in prigionia
furono circa 100.000, mentre quelli Francesi furono circa 20.000.