25 Aprile. Il giorno dopo la festa la carta stampata, sempre
più avvezza al mainstream di Stato, dà conto di varie polemiche sul significato
e l’opportunità del 25 Aprile delineando un paese sempre più diviso sia tra
destra e sinistra che tra generazioni.
Io che sto dalla parte di chi la considera la festività più
importante della Repubblica italiana perché esprime un evento autentico da inscrivere tra quelli che hanno stabilizzato la pace per tutta la
seconda parte del secolo scorso, ovvero la celebrazione della vittoria di un
movimento di liberazione, la considero una polemica pretestuosa. So che
l’impulso revisionistico è in crescita (vedi itinerario ideologico di Pansa) ma
il punto chiave è che quel modo di concepire il significato del 25 Aprile è un
valore fondante della Costituzione.
Non possiamo rimanere dentro al quadro
costituzionale senza quel valore. Se vogliamo togliere la festività o cambiarne
il significato dobbiamo fare altrettanto della Costituzione della Repubblica.
Per carità tutto è possibile e tutto si può fare
legittimamente. La democrazia serve proprio a questo. Ma lo si dica
apertamente, assumendosene le conseguenze. Non serve mischiare le carte.
Mostrino il petto.
La destra non vuole il 25 Aprile? Allora non vuole la
Costituzione. E siccome la Costituzione è antifascista il suo abbattimento apre
un spazio politico la cui identità politica va dichiarata. E questo va fatto
ora, non dopo, in modo che gli italiani scelgano informati.
Non molto diverso è l’altro approccio al binomio. Se noi
lasciamo la festività ma attacchiamo l’impianto costituente che fine fa
l’antifascismo?
Ebbene questo approfondimento bisogna farlo in ogni caso e
con urgenza. E’ un fatto indipendente dalle polemiche di questa giornata. In
ottobre si vota per approvare una manovra di riforma costituzionale che
interviene su 47 articoli della Costituzione su 139. Qual è il nuovo profilo
costituzionale che ne esce? Questo è ciò che bisogna dichiarare ora.
Il resto è solo fumo cartaceo.
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