INTERNATIONAL
NEW YORK TIMES dà notizia, con un richiamo in prima pagina e un rinvio
alla pagina interna delle world news, dell’esistenza di un gruppo separatista
texano che sostiene che il Texas non si è mai unito agli Stati Uniti, batte una
propria moneta e tiene periodiche riunioni del proprio Congresso.
I membri partecipanti a tali riunioni usano
proprie monete e portano con sé carte di identità che avvisano la polizia che
essi fanno parte del personale diplomatico che rappresenta la nazione texana.
Il vice presidente, un pensionato ex dipendente di compagnia
telefonica, ha spedito una lettera nel 2011 al governatore di Oklahoma
informandola che avrebbe dovuto affrontare un contenzioso sui confini delle
contee tra i due stati in quanto sconfinanti sul territorio nazionale texano. E’
l’atto che ha attirato l’attenzione delle autorità.
Il punto
centrale di questa posizione politica risiede nella convinzione texana che non esista
atto legale che faccia del Texas una parte degli Stati Uniti. Rimanendo
pertanto la Nazione texana, una entità separata.
Il gruppo è legato ad
associazioni veterani delle guerre estere e si autodenomina Republic of Texas.
Per ora agisce per lettera, ma si inserisce in un filone di pensiero politico
già presente. Alle ultime primarie per il governatorato texano ad esempio il
candidato secessionista Larry Kilgore ha preso 19,055 voti. Costui, facilmente
raggiungibile attraverso la pagina Facebook, opera nell’ambito del Partito
Repubblicano, ma per essere chiaro circa il suo messaggio politico ha
addirittura cambiato il suo nome in Larry Secede Kilgore.
Non si
tratta però della stessa proposta politica della Republic of Texaxs perché per
questi ultimi non c’è secessione da fare, ma semplicemente azioni legali presso
le corti di giustizia affinché vadano riconosciuti gli atti dei loro organi
legislativi vista la nullità della annessione avvenuta a metà del
diciannovesimo secolo.
Il gruppo
non è armato e per il momento non viene trattato con repressione da parte della
polizia. Ma la stessa polizia non esclude evoluzioni illegali.
L’impressione
che si ricava dalla lettura dell’articolo è che non vi sia sottovalutazione né,
tantomeno, derisione del problema. Il che mi fa pensare alla differenza con il
comportamento italiano verso il venetismo, deriso ed ignorato per anni da una
classe politica ignorante e impreparata.
Si tratta di
un articolo che appare su “international” new York Time dal che deduco che non
venga trattato come un problema internono un semlice fatto di allerta dell’ordine
pubblico.
Si tratta di
un segnale politico da non trascurare perché fa parte di un quadro di segnali
autonomistici che interessano varie parti del mondo, in particolare nelle zone
petrolifere.
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