Il punto centrale della proposta di
revisione costituzionale contenuta nel ddl Renzi Boschi riguarda la composizione
del Parlamento.
Il nuovo Parlamento rimane bicamerale,
il Senato non viene abolito ma modificato e la Camera rimane composta dai 630
deputati. Il nuovo testo lascia infatti inalterato l’art. 56 della Costituzione
oggi vigente.
Si interviene invece pesantemente
sull’articolo successivo, il 57 (e su altri a cascata) stabilendo di scendere
da 315 senatori a 95 dei quali 22 provenienti dai sindaci e 73 dai consiglieri
regionali. Quando scade il mandato dell’organo territoriale di provenienza
scade anche il mandato senatoriale.
Questo è un punto delicato e un po’
complicato. Ricordo che qui siamo nella
Parte Prima I della Costituzione, che si occupa dei diritti e doveri dei
cittadini. Per approfondire è opportuno leggere il sinottico dei due articoli
57 (quello vecchio e quello nuovo) alle pagine 86 e 87 del libro di Zagrebelski.
Qui mi limito a sintetizzare il significato di fondo. L’articolo passa da
quattro a sei commi con profonde modifiche. Si abroga l’articolo 58 che
stabiliva che i senatori vengono eletti a suffragio universale e diretto. L’intervento determina
soprattutto un cambiamento delle modalità
di scelta dei componenti del nuovo organo senatoriale, eliminando la
facoltà di scelta diretta da parte dell’elettore stabilendo invece – nota efficacemente
Zagrebelsky - un “filtro regionale”. O meglio i cittadini
indicheranno i futuri senatori indirettamente. I Consigli regionali infatti indicheranno
scegliendo al proprio interno, quindi tra persone elette, i due rappresentanti
(per ciascuna regione) da mandare a Roma. Tralascio i sindaci e i senatori a
vita. Ci sarà una apposita legge elettorale bicamerale a stabilire il dettaglio
della nuova disciplina. Il nuovo meccanismo partirà solo dal 2022 perché serviranno
una serie di tempi diciamo “tecnici” d’assestamento.
Il punto contraddittorio di questa
operazione riguarda la NATURA della rappresentanza senatoriale. Il futuro senatore
infatti rappresenterà la Regione (intesa come entità istituzionale) da cui
proviene o il popolo italiano? Nel primo caso si apre un conflitto con l’ordinamento regionale vigente perché l’art.
121, c.4 della Costituzione dice chiaramente che è il Presidente della giunta
regionale (nel caso Veneto Zaia) a rappresentare l’istituzione territoriale;
nel secondo caso il fatto di non essere eletto direttamente diventa pesante.
L’art. 55 (anch’esso da leggere in
sinottico) ripete il comma 1 della Costituzione attuale ribadendo che “Il
Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”,
ma aggiunge altri quattro nuovi commi dei quali il n. 5 specifica che il Senato
rappresenta le istituzioni territoriali. Ora è solo negli ordinamenti federali che la
rappresentanza è esercitata, oltre che dal popolo, dalle entità territoriali
federate.
Per me c’è confusione: l’Italia non ha e non avrà (soprattutto se passa
il ddl Renzi Boschi) l’ordinamento federale e quindi ad esercitare il ruolo
della rappresentanza nazionale rimarrà solo il popolo attraverso la Camera dei
deputati. E un senato che rappresenta le Regioni dev’essere solo il luogo di
confronto delle posizioni regionali, senza partecipare al processo legislativo.
Per chi, come me, vedrebbe con
simpatia una ristrutturazione federalista del nostro ordinamento rimane solo la
delusione. Questo intervento sul Senato è solo inutile, contraddittorio e
confusionario.
Antica saggezza veneta:
“Se
volì vedare el diluvio universal, metì dodese preti a tola a disnar”.
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