giovedì 11 giugno 2015

G7, Ttip e opposizione populista




L’International New York Times di ieri ci ha aggiornati su uno dei contenuti del G7 che sono stati posticipati dall’agenda. Si tratta della trattativa Ttip (Trade and Investment Partnership).


Si pronuncia TEE-tip ed è un negoziato praticamente segreto che è stato annunciato due anni fa. Da allora nove rounds si sono susseguiti e oggi se ne stanno occupando anche il Congresso degli Stati Uniti e il parlamento tedesco. In Italia invece è un tema pressoché sconosciuto dal cicaleccio mediatico.
Ed è un vero peccato perché su quel tavolo si sta ridisegnando la globalizzazione, ovvero il futuro commerciale della generazione entrante. La stessa Euronews ha dato conto degli accordi firmati tra UE e CELAC (Latin American and Caribbean Community) ma non dello spostamento del tema in agenda G7.


Penso che l’articolo sia concepito più per spiegare il motivo del rinvio agli americani che agli altri paesi perché siamo in una fase di grandi accordi commerciali e quello cui Obama tiene di più non marcia.

L’articolo pertanto enfatizza le difficoltà della Merkel nei confronti del Ttip e lancia un implicito allarme verso i populismi che agitano l’Europa.



A suo tempo Angela Merkel fu una sostenitrice del trattato. L’economia del suo paese infatti è trainata dalle esportazioni e ne beneficierebbe. Ma dall’anno scorso i sondaggi indicano una opinione pubblica ostile in crescita e questo proprio in Germania molto più che nel resto della UE.


Coloro che propongono il trattato promettono che esso incrementerà gli scambi commerciali di almeno tre miliardi al giorno attraverso la rimozione delle barriere e col rafforzamento della leadership occidentale sul commercio mondiale.
Ma i cittadini europei vedono invece la parte oscura; temono che gli interessi dei consumatori, dei produttori locali e delle piccole imprese vengano calpestati dalle multinazionali che uscirebbero rafforzate dal patto. Inoltre una spinta ad uniformare le regole tra USA ed Europa avrebbe come risultato una diffusione dell’American-style a scapito dell’ambiente, della salute e della privacy. In una recente manifestazione a Berlino ad esempio, il pezzo forte di Campact era una sbuffante imitazione dello spray erbicida della Monsanto, gigante agrochimico americano.

Vengono quindi indicate l’organizzazione Campact e il suo leader Kolb come fattori di persuasione anti Ttip.  

Il gruppo attivistico di Kolb, che si chiama appunto Campact, si avvale di uno staff professionale di tre dozzine di persone e dispone di un budget di poco inferiore a sei milioni di euro all’anno. Ha già un milione e seicentomila membri, usa i social e cresce organizzando manifestazioni. Campact, il cui nome deriva dalla combinazione delle parole “campagna” e “azione” ha già raccolto oltre due milioni di firme su una petizione che si oppone al trattato.  


Ovviamente Campact si dichiara non contraria all’America, ma solo contro l’influenza delle big corporations. Il suo approccio vuole offrire ai cittadini che ritengono di non avere sufficiente voce in capitolo la possibilità di farsi sentire attraverso Internet e di canalizzare il loro sostegno in una potente e pacifica protesta.


E’ ancora presto per poter dire che gli sforzi di Campact metteranno a rischio l’Accordo, ma al momento la situazione sembra stare dalla parte di Kolby.






Il giovanotto dev’essere però molto più temuto di quanto non traspaia dal contenuto dell’articolo. La sua foto, seppur con espressione aggressiva, appare infatti in prima pagina. 

E' interessante anche notare come il termine "populismo" una volta usato dalla sinistra contro la destra, sia oggi invce usato contro i movimenti antiglobal.


Mai dire mai.












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