giovedì 30 aprile 2015

Saigon surrenders to Vietcong





Il 30 Aprile di quarant’anni fa (1975) si concludeva la caduta e lo sfascio definitivo del Viet Nam del Sud. Le truppe dell’esercito nordvietnamita entravano in una Saigon (la capitale) ove nelle ultime 36 ore c’era stata una drammatica fuga di civili e militari compromessi con il governo con la drammatica chiusura ed evacuazione della ambasciata degli Stati Uniti. Nord e sud venivano riunificati sotto la guida politica dei comunisti.





Per la mia generazione la liberazione di Saigon e la sconfitta del complesso militare più potente del mondo (gli Stai Uniti) da parte di una resistenza guerrigliera popolare, costituiscono una vittoria epocale e il principale riscontro dell’ideale pacifista occidentale. Quel giorno tutti abbiamo creduto di poter vincere.




Nei quattro anni successivi vi fu il tentativo di lanciare una rigida pianificazione, ma poi l’economia vietnamita, sempre governata dai comunisti, aprì al mercato riducendo in due decenni l’indice di disoccupazione dal 59% al 18%. Oggi il Vietnam è partner commerciale di Gazprom e viaggia ad un indice di crescita di poco inferiore a quello cinese. E ‘uno “stato socialista unicamerale” con una assemblea elettiva di 400/500 membri. La Costituzione del 1992 assegna al partito comunista la guida del governo. 

Sul piano delle relazioni internazionali spicca il cronico contenzioso con la Cina, in particolare per il controllo delle isole. L’economia è aperta al turismo, anche con gli Stati Uniti.





Pax et libertas

martedì 28 aprile 2015

25 Aprile di festa, senza retorica.





La festività del 25 Aprile vene percepita dalla destra vecchia e nuova come il culmine di una propaganda anacronistica. E dopo settant’anni comincia ad essere stufa. Ma è invece un appuntamento autentico con la memoria...






E’ certamente vero che il PCI nel dopoguerra e negli anni settanta ha usato questa commemorazione concependo la Resistenza come momento legittimante. Nell’ottica della guerra fredda infatti il PCI non avrebbe dovuto godere di tutto lo spazio di movimento, sia nella società che nella politica italiana, che invece ha avuto. Ma la forza di quella commemorazione è sempre stata superiore all’attacco atlantista e ancora oggi funziona. Anche il ventennio berlusconiano ci ha provato, ma senza successo. E questo nonostante la forza persuasiva fosse notevole.



Il punto è che c'è un radicamento reale. Il 25 Aprile rappresenta un fatto presente nei ricordi delle famiglie, prima che nelle istituzioni. La cosa non è omogenea in tutte le parti d'Italia ovviamente. Nel Sud, dove pure è stata dura, non c'è stata la RSI (Repubblica Sociale). Qui da noi, nel Nord, c'è sata la lotta fratricida tra i repubblichini, che erano al potere, e i partigiani che erano invece semplici "banditen". Le famiglie dei partigiani e di chi li sosteneva non avevano scelto quella posizione per opportunismo, avrebbero rischiato troppo, ma si rifiutavano di arruolarsi nella RSI o di andare a lavorare per i tedeschi in Germania, in Polonia ecc. Resistevano, appunto. 

Queste memorie, che stanno ancora dentro le famiglie, non sono retoriche, sono vita vissuta. Vissuta e sofferta dai genitori, dai nonni, racconti di verità a volte forse un po' imrecise, ma vere, autentiche. Verità che stanno nel cuore dei nipoti.




Per questo dopo settant'anni il 25 Aprile non ha ancora stufato. Qui a Valdagno, città industriale, il 25 Aprile 2015 la piazza era ancora affollata, mentre per il 1 Maggio 2015 non è previsto niente. Forse qualche festicciola mangereccia ...

Io sono perchè la retorica venga tolta. Oggi nessuno ha più bisogno di usare quei ricordi per legittimarsi. Quei ricordi vanno salvati dall'oblio e trasmessi, quelle verità vanno commemorate e lo devono fare le istituzioni che ne sono figlie, ma senza usarle contro nessuno. 
Per me il 25 Aprile va celebrato. Nel pieno rispetto personale e umano di chi di quel periodo ha ricordi tristi e poco interesse a commemorarli. Ma va celebrato. 


sabato 25 aprile 2015

Dronization






Renzi è stato in America per comprare i dronI di Obama. Costui ne ha bisogno perché è sotto il tiro degli armageddoni e rischia di far perdere i Democratici alle prossime elezioni.

 
Obama nei suoi due mandati ha depotenziato il ruolo del Pentagono e ha ristrutturato la CIA alterando i tradizionali rapporti di forza lobbistici sul Congresso. Il gigantesco complesso industriale militare che condiziona e controlla direttamente la politica americana, all’inizio del secondo mandato obamiano rischiava di non contare più niente ed ha reagito. I produttori di armi leggere, quelle che uccidono nelle scuole, sono scesi in campo apertamente e si sono alleati con John McCain, storico senatore espressione dei poteri tradizionali. Il risultato è stato un attacco pesantissimo alla politica interna, in particolare la riforma sanitaria, e poi un investimento diretto negli eserciti privati del medio oriente. Una politica che ha contribuito alla nascita di ISIL e che paghiamo oggi.
 
Il cordone di interessi che sosteneva Obama però ha saputo resistere e Obama è stato in equilibrio (anche se ha dovuto digerire la permanenza di Guantanamo e un po’ di svolte in Siria). Ma tutto questo rischia di non bastare più oggi che Netanyahu, dopo l’accordo nucleare, sta alzando al massimo il livello di scontro.

 
Vari centri finanziari americani, tra i quali i settori assicurativi detentori del capitale derivante dalle polizze vita con le quali l’esercito copriva i rischio morte dei militari in Afghanistan e Iraq, stanno considerando la possibilità cedere alle sirene filo israeliane. La politica di Obama infatti abbassa gli indici di sinistrosità legati al mercato di quelle polizze, ma questo favorisce solo a breve, mentre in prospettiva (cioè nel prossimo mandato) determina una caduta verticale dei contratti. Allora bisogna mettere a frutto gli investimenti sui droni, diffonderli e farne magari un’arma strategica in tutto l’occidente. Ma in occidente, in particolare nella UE, non siamo pronti. Abbiamo altre emergenze.

 
 
Renzuschino però si offre come partner privilegiato dei piani Obama. E dronizzando il Mediterraneo lascia intravvedere la possibilità di dronizzare in prospettiva l’intera NATO. Ma la cosa probabilmente non piace ai generali, primi fra tutti proprio quelli americani dentro la NATO. Per questo lo stanno boicottando ed è partita una campagna, che spero breve, contro i droni killer che hanno ucciso Lo Porto.

 

Staremo a vedere. Certo che l’incontro Renzi Obama della scorsa settimana non è servito ad elogiarsi tra premiers, ma a firmare qualcosa di più concreto.

 

 

 

mercoledì 22 aprile 2015

Pace nucleare?




Sul Fatto Quotidiano di Lunedì Lorenzo Tosa riassume aspetti meno noti dello scenario retrostante alla trattativa Iran-USA sulla sicurezza nucleare. In particolare gli articoli si riferiscono a allo scontro cibernetico iniziato ne 2006 da G.W. Bush dando vita alla Operazione Olympic Games.

Si tratta di un “ciclo di attacchi digitali” aventi per obiettivo le centrifughe nucleari iraniane. Il centro fisico degli attacchi era la centrale di Natanz sulla quale si sono scaricati i tentativi di penetrazione con virus di tipo malware che ebbero alla fine successo attraverso il PC di un tecnico nel 2010.

Gli iraniani se ne accorsero quando la diffusione nella propria rete era già avanzata grazie ai collegamenti internet, grazie ad una azienda di consulenza informatica bielorussa. Edward Snowden confermò nel 2013 l’esistenza di un piano israelo-americano addossandone la responsabilità a Foreign Affairs Directorate e successivamente Washington ha accusato Israele di modifiche sul virus in senso molto più aggressivo.


Gli iraniani non sono stati fermi e hanno attaccato – sempre per via informatica - la Jp Morgan e altre banche ed hanno evoluto molto rapidamente la qualità dei loro attacchi al punto da preoccupare seriamente Washington e indurla ad accelerare la ricerca della pace informatica. Da qui la trattativa ed il suo esito anticipato nel Febbraio scorso dalla pubblicazione di prove documentali che dimostrano e ricostruiscono tutta la cyber war di questi anni.




L’articolo mi rimanda all’analisi di Roberto Toscano, ex ambasciatore in Iran, pubblicata nell’autunno del 2013 su LiMes. L’apertura della trattativa era stata annunciata ufficialmente dai due discorsi tenuti da Obama e Rohani alla Assemblea Generale delle Nazioni Unite Martedì 24 Settembre 2013.

Tali discorsi furono un segnale potente per una fase di disgelo reale nel quadro complessivo dei rapporti tra USA e IRAN. E la individuazione del nucleare come tema da cui partire diede conferma alle speranze. Inoltre nel suo discorso Obama aveva annunciato anche una esplicita esclusione ad una politica di regime change.

Ora sappiamo, grazie agli articoli New York Times cui si ispira l’articolo di Tosa, che a sostenere le aperture di Obama sottese a quel discorso c’era anche lo scontro con Israele. Il falco Nethanyahu, infatti, ingannando la stessa Washington, aveva sferrato un duro attacco informatico alle centrifughe d arricchimento nucleare iraniane.




Iran e Stati Uniti, in rotta da trent’anni, hanno già collaborato militarmente nel 2001 durante l’attacco all’Afghanistan quando gli iraniani scambiarono informazioni e ospitarono atterraggi dell’aviazione USA sul terreno iraniano. Ma il successivo avvento della fase conflittuale Bush/Khatami aveva azzerato ogni aspettativa. Alla base del rilancio delle reciproche ostilità vi era la “illusione unilateralista” di Bush, ovvero l’idea di poter imporre una egemonia unilaterale nella regione grazie alla superiorità militare.



Per noi occidentali oggi è facile incolpare Bush, ma il vero problema delle relazioni USA/IRAN è Israele e la politica dei suoi falchi. La possibilità del nuovo accordo nucleare di stabilizzarsi dipende tutta da costoro, e la vittoria elettorale di Nethanyahu non promette nulla di buono.



domenica 5 aprile 2015


Il 5 aprile, secondo il certificato di morte dell’anno 1994, è morto Kurt Cobain, ma il suo corpo venne trovato solo tre giorni dopo con accanto il fucile e il biglietto d’addio. Qualcuno, tra i quali un investigatore molto esperto, sostiene che non fu un suicidio. Aveva 27 anni.




Il quotidiano La SAMPA di Sabato 4 Aprile riporta a pg 31 un articolo a firma Nadia Ferrigo secondo il quale una ricerca di Dianna Theodora Kenny, che vive a Sidney dove studia e insegna “psicologia e musica”, dimostrerebbe la correlazione statistica tra morti premature e mestiere del musicista.

Non vengono considerate le morti storiche come Mozart, le quali pure costituirebbero un terreno di studio molto suggestivo, bensì quelle del periodo 1950/2014 confrontando i dati raccolti con quelli della popolazione americana. E ne esce confermato il mito del rockettaro morituro.

 

Non però quello del cosiddetto Club 27J.

E’ una espressione giornalistica. Essa si riferisce al fatto assai curioso che esiste una significativa serie di artisti rock con la lettera “J” nel nome, che sono morti all’età di 27 anni. Essi sono Brian Jones, Jimy Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison ed Amy Jade Winehouse.

Pare invece che la vera età in cui muoiono statisticamente più musicisti si quella di 56 anni.

Smentita quindi una teoria numerologica di gusto complottista.

I numeri fanno pulizia dei pregiudizi e si scopre come in questo caso che ad uccidere i musicisti blues, jazz e folk sono il cancro e il cuore, in particolare per i punk e i metal. E nel rock addirittura un quarto delle morti sono accidentali.

Questo risulta però dalla presa in considerazione tra le cause di morte anche degli incidenti e delle overdosi.

 

 

MAGNIFICAT, di John Rutter

  John Rutter è un direttore di coro e compositore contemporaneo di chiara fama e talento. La sua musica corale è accessibile, apprezzata ed...