domenica 28 dicembre 2014

Joe Hill rivoluzionario folk singer



Fucilato il 19 Novembre 1915 per eseguire la pena di morte decretata dallo stato dello Utah dopo un processo di dubbia legittimità, l’immigrato trentacinquenne svedese Joel Hȁgglund è oggi un eroe del sindacalismo unitario americano ed internazionale. Il 2015 ci porterà il centenario della sua morte.



Aveva cambiato il suo nome in Joel Emmanuel Hillstrom, poi diventato Joe Hill, dopo essere stato schedato dalla polizia come sovversivo.


Era nato a Gȁvle (città di settantamila abitanti a nord di Stoccolma) figlio di Margareta Katalina e Olof Hȁgglund. Il padre era un ferrotramviere amante della musica che gli fece prendere lezioni durante l’infanzia. Il piccolo Joel infatti sapeva suonare il pianoforte, l’organo, la chitarra e il violino. Quest’ultimo era il suo strumento preferito.  


Era giunto in America nel 1902 per fare il facchino a New York, l’operaio a Chicago e infine, dopo vari viaggi (da agitatore politico-sindacale anche in Messico), si stabilì a Salt Lake City nell’autunno del 1913. Aveva da tempo aderito al sindacato rivoluzionario I.W.W. e nell’annata 1910 si possono trovare suoi scritti nella rivista ufficiale del sindacato. Si fece conoscere per le sue qualità di musicista-propagandista componendo e adattando motivi già esistenti o nuovi versi da lui medesimo composti in tema di lotta di classe e diritti dei lavoratori. La sua produzione arricchì il Libretto Rosso di Canzoni dell’I.W.W. (Little Red Song Book).




Il 13 gennaio del 1914 Joe Hill venne arrestato e portato nel carcere di Salt Lake City dove fu mostrato al figlio di un commerciante che era stato ucciso in una sparatoria. Fu sulla base di questo incerto riconoscimento che venne accusato di omicidio volontario. L’arma non venne ritrovata e Joe hill si dichiarò not guilty. Scelse di difendersi da solo per sfiducia nel sistema e fallì ogni difesa processuale. Venne condannato a morte offrendogli di scegliere tra l’impiccagione e la fucilazione. Scelse quest’ultima. La sentenza però venne eseguita più di un anno dopo perché l’azione di sostegno solidale I.W.W, peraltro da lui non richiesta e mai sollecitata, fu molto efficace trasformando il suo processo in un caso internazionale che produsse anche l’interessamento del presidente Wilson. Gli avvocati del comitato di difesa furono sul punto di ottenere la revisione del processo, e anche il ministro svedese pubblicò un appello per la non esecuzione della sentenza, ma la mattina del 19 Novembre 1915 un plotone di esecuzione formato da quattro specialisti di tiro nascosti dietro una tenda, spararono sul suo petto ponendo fine ad una vita dedicata ai diritti e alla dignità dei lavoratori.








La vita e la figura di questo sindacalista agitatore delle IWW (Industrial Workers of the World), venne rilanciata dallo scrittore americano Dos Passos, il quale dedica un intero capitolo alla sua figura nel romanzo “1919” uscito nel 1932.


I suoi versi e le sue melodie sono state cantate da milioni di lavoratrici e lavoratori americani nelle lotte degli anni trenta e degli anni sessanta. E le ballate scritte su di lui hanno accompagnato tutta l’epopea dei grandi folk singers nella lotta per la conquista dei diritti civili.


Da non perdere quelle di Peet Seeger e Joan Baez.






Nel 1990 la Svezia emise un francobollo commemorativo della figura artistica di Joe Hill.


Sul web si può trovare un sito elegante ed esauriente che ne onora la memoria:

http://www.joehill.org/


domenica 7 dicembre 2014

Daje ar gomblotto!



Bruno Tinti è certamente una persona seria e politically correct. Lo dimostrano la sua biografa, almeno quella che appare sul web, e i suoi articoli. Intendo dire che non penso sia in malafede quando scrive commenti che stanno tra l’ingenuo e il negativo.

Giovedì 27 novembre u.s. è uscito sul Fatto Quotidiano a pagina 18 un suo commento in tema di complottismo in un articolo che presenta entrambe tali caratteristiche. L’estensore attacca l’ultimo libro uscito con CHIARELETTERE, ovvero MASSONI società a responsabilità illimitata, di Gioele Magaldi e Laura Maragnani. Egli attacca sul punto debole ovviamentee cioè il fatto che i due autori evocano documenti segretissimi che però non sono producibili e pertanto vanno creduti sulla parola.

Ora fin qui posso essere d’accordo anch’io, ma il prosieguo della lettura mi allontana sempre più dalle sue posizioni. Egli infatti tratta con superficialità una serie di temi degni di ben altra considerazione.

Egli parte dalle scie chimiche, che sono l’argomento polemico preferito dagli anti complottisti, per arrivare alle “multinazzzionali” intese come perenne approdo infondato dei ragionamenti complottistici. Egli si riferisce a conversazioni tra suoi amici e parenti, ma stende di fatto un articolo che si riferisce ad atteggiamenti largamente diffusi. Egli si dichiara disturbato più che altro dall’atteggiamento di chi sostiene gli argomenti complottisti con “arrogante certezza disinformata”. E ciò lo disturberebbe molto più che dover ammettere che inquinamenti e colpi di stato vadano imputati a “grandi società di estrazione”.


Egli definisce il complottismo una “mania” molto antica e fa riferimento al terrorismo della RAF e delle Br. In quegli anni, scrive Tinti, i complottologi sostenevano l’esistenza di un grande vecchio senza spiegare in favore di chi e per ottenere che cosa costui operasse. Inoltre, sostiene, i complottologi non spiegavano come facessero a sapere della sua esistenza. Tinti evidentemente si è dimenticato chi era la fonte della tesi del grande vecchio, ovvero Bettino Craxi presidente del Consiglio in carica. Personaggio costui che risulta difficile far passare per arrogante conversatore disinformato.

Egli poi fa riferimento a sue inchieste di magistrato. Tanto di cappello per la Telekom Serbia dove le accuse di cospirazione si rivelarono infondate e i protagonisti, del calibro di Prodi per capirci, vennero prosciolti, ma al lettore resta l’impressione che la fonte Igor Marini fosse, quella sì, un falso complottista che prese in giro gli inquirenti.
E forse sono proprio esperienze un po’ umilianti come quella a consolidare nell’animo di chi le ha subite una profonda antipatia verso il complottismo…



Il magistrato italiano Paolo Ferraro. Nel caso di questo magistrato Bruno Tinti sembra piuttosto perentorio: “lo hanno sospeso dalla magistratura per infermità mentale “. Mi pare voglia dire che non è credibile ciò che dice. Mi vengono in mente due casi. Uno riguarda il mio amico Rolando che era ritardato mentale, non sapeva leggere e passò una parte significativa della vita in un istituto, ma quando volevo sapere che film facessero nei vari cinematografi della ma città chiedevo a lui e non sbagliava mai. L’altro è che Solgenitzin secondo la medicina ufficiale sovietica, che non era per niente arretrata, era infermo di mente, ma nessun giornale occidentale ci ha mai creduto e, anzi, ha sempre creduto nelle sue descrizioni dei gulag.

 

Ovviamente ognuno è libero di pensarla come crede, ma penso comunque che sia utile sentirlo, questo Paolo Ferrero, solo per farsi un’idea…


 

 

 
...una profonda antipatia verso il complottismo… risulta difficile.

 

 

domenica 16 novembre 2014

G 20 o G five?

La retorica di questi giorni sul venticinquennale della caduta del muro di Berlino non ha dato all’intervento di Gorbacev lo spazio che avrebbe meritato. L’obiettivo propagandistico del mainstream occidentale era quello di rivitalizzare il ricordo dell’evento che simboleggerebbe la vittoria della guerra fredda. Ma se quella guerra fosse finita ci sarebbe oggi la pace, mentre invece non è affatto così. C’è inoltre un ostinato conformismo mediatico, sempre più schiavo della propaganda militare occulta, che rischia di fare il peggio.

Il New York Time col suo inserto a pagamento ha pubblicato questa settimana una intervista a Gorbacev. Si tratta di un supplemento che spiega direttamente le posizioni russe senza mediazioni più o meno strumentali della stampa occidentale; un foglio di quattro pagine che ci permette di conoscere un punto di vista alquanto oscurato.



I nostri telegiornali hanno in particolare messo in ombra le chiare critiche di Gorbacev all’inadempienza occidentale con riferimento alla Carta di Parigi per una nuova Europa. Un documento sottoscritto da tutti i paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada nel 1990. Esso all’epoca costituì un fattore di affidabilità nei confronti dell’occidente da parte dei sovietici perché ad esempio prevedeva la creazione di un Consiglio di Sicurezza per l’Europa, ma non fu poi realizzato. Fu lasciato cadere lasciando il posto al processo di espansione della NATO che prese corpo nel decennio successivo. Questa inadempienza sta alla base della incomprensione attuale, con il rischio di ricadere in una nuova guerra fredda.


La NATO, che si è espansa ad est dalla Lituania alla Polonia, ha assunto una funzione di apripista per l’allargamento dei mercati globali imponendo standard tecnologici ed infrastrutturali tali da rendere irreversibili, una volta adottate, le misure commerciali dei paesi aderenti.
Pertanto la discussione e gli stessi principi che caratterizzano l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ne viene fortemente condizionata nella speranza, tutta nordamericana, di conservare il vantaggio competitivo. In questo quadro la Russia, quand’anche adottasse irreversibilmente l’ideologia liberale sulle dinamiche di mercato, si troverebbe in una inaccettabile competizione svantaggiata. In ciò consiste a mio avviso la ipocrisia dell’occidente, laddove propagandando principi di libertà impone svantaggi strutturali ai competitors.


Il G20 di Brisbane avrebbe avuto l’ovvia priorità di cercare un nuovo impulso al mercato globale, ma anziché predisporre una agenda mirata ad affrontare le questioni mondiali ha visto il gruppo del G7 tentare di imporre una agenda che riguardasse al massimo la congiuntura dei 20 paesi più ricchi del mondo.
Quindi la lente distorta dei media occidentali ha imposto i temi di un dibattito fuori agenda. Stando a questo maistream a Brisbane il mondo, scandalizzato dall’invasione russa dell’Ucraina, ha isolato e condannato Putin che se ne è andato prima con la coda tra le gambe.
I nostri strapagati giornalisti, quelli che usano abbeverarsi a Washington, hanno fatto la loro parte con pieno senso della disciplina. Complimenti.



Peccato che la realtà sia ben diversa: a Brisbane un Obama definitivamente delegittimato dalle elezioni di medio-termine, una UE inconsistente rappresentata da un ragazzino delegittimato dalla proprie piazze e una Merkel cortesemente odiata da Francia e Inghilterra hanno nascosto il proprio pantano finanziario dietro una falsa polemica antiputiniana che ha fatto ridere i cinesi, gli indiani i sudafricani e i brasiliani.






MAGNIFICAT, di John Rutter

  John Rutter è un direttore di coro e compositore contemporaneo di chiara fama e talento. La sua musica corale è accessibile, apprezzata ed...