lunedì 30 aprile 2018

Gufatina di fine mese









Le notizie più importanti, tra i fatti che destano l’attenzione del mainstream in queste settimane, riguardano il riassetto delle posizioni strategiche. Trump ha digerito la sconfitta americana in Siria aiutandosi col finto bombardamento antichimico ed ha riavviato il battage sui dazi per impressionare l’Eurozona. 

In questo nuovo Quadro, nonostante Assad consolidi il proprio potere, rimane conflittuale il dossier mediorientale e potrebbe evolversi negativamente il lato iraniano su iniziativa diretta di Israele. C’è solo da augurarsi che il rilancio del conflitto mantenga un carattere regionale senza coinvolgere l’intervento diretto delle superpotenze. Le oligarchie sunnite sono state rimpinzate di armi negli ultimi mesi, si può quindi sperare che si arrangino per un po’. Invece, nell’ambito della dialettica tra Trump e l’establishment atlantista, occorrerà aprire nuovi fronti in centroamerica e soprattutto verso Maduro, perciò assistiamo a vari pellegrinaggi verso Washington. 


Il problema è la Cina. Essa si rafforza nello scenario di unificazione delle due Coree. E potrebbe cercare di sintonizzarsi meglio con l’Europa, lanciare le criptomonete e accelerare la prospettiva di costruzione del canale Nicaraguense. In proposito sta partendo alla chetichella una campagna di sputtanamento verso Daniel Ortega.

L’Italia appare in seconda fila mentre Macron, Merkel e May, ciascuno col proprio passo, ritornano all’ovile.


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In Italia c’è lo stallo politico e gli armageddoni ne approfittano per piazzare armamenti ed elicotteri. La riunione del CIPE che ha formalmente autorizzati i contratti è stata accantonata dal mainstream coprendola col petteglezzo telegiornalistico sulle schermaglie per la nuova composizione politica. 

Non escludo che Mattarella lavori per prorogare lo stallo per tutto il 2018: governicchio per nuove elezioni. Poi scontro all’ok Corral tra Lega e M5s. Aggiustamenti della Legge elettorale, misure di cassa e aumento dell’IVA. Pope Francis appare ormai definitivamente riallineato.


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A Valdagno celebrazioni per la Morte di Pietro Marzotto. Viene sepolta definitivamente l’era del capitalismo etico. La vallata verrà definitivamente pedemontanizzata: svuotamento delle colline, ipermercati, immigrazione. 


Mah...!
Meglio ritirarsi in montagna e rileggere, tra una passeggiata e l’altra, l’intera opera di Borges ed Eco.




Ubi libertas,
                   ibi Patria.




lunedì 16 aprile 2018

1968, LA MARZOTTO IN LOTTA PER IL CONTRATTO DEI TESSILI








La vicenda interessò 350 mila OPERAI TESSILI. Nel modello di rappresentanza dei settori merceologici industriali vigente all’epoca si trattava della categoria meno pagata e quindi “più sfruttata” come si diceva allora.


Le condizioni di lavoro all’interno dei reparti erano considerate pesanti dai lavoratori e al tempo stesso insoddisfacenti dai vertici aziendali. La fibra sintetica progressivamente introdotta nel processo laniero era più resistente alle rotture durante la lavorazione e permetteva perciò, nellì’ottica aziendale, una maggiore saturazione del lavoro operaio durante l’orario di lavoro. Da qui la convinzione del management, specie quello di novo inserimento, istruito con le regole fordiste, che fosse legittimo chiedere forti incrementi di produttività a parità retributiva. Appariva ovvio aumentare sempre più le assegnazioni di macchinario a ciascun operaio. Ma questo avveniva a parità di volumi produttivi perché il mercato di sbocco per le produzioni tessili non era in crescita, e pertanto la maggiore produttività si trasformava in riduzione del personale. 


Se sulla carta appare razionale assegnare all’ operaio un numero doppio di filatoi o telai da seguire a fronte di un dimezzamento del numero di rotture all’ora, nella realtà per l’operaio cambiano tutte le condizioni di adattamento durante il turno lavorativo, a cominciare dalla deambulazione. Questa infatti aumenta più che proporzionalmente perché dipende dal lay-out di reparto e non dal numero di nodi che bisogna fare all’ora. Si trattava di molti chilometri al giorno di aumento a parità di produzione individuale. Inoltre l’aumento dei ritmi meccanici aumenta il rumore e le vibrazioni anche a parità di deambulazione. E si trattava di aumenti del disagio totalmente indipendenti da ogni incentivo di retribuzione. E quegli operai, i quali all’epoca sapevano di dover passare tutta la vita fino alla pensione in tali condizioni, non erano favorevoli ad una monetizzazione del disagio.
Dal canto suo il management voleva realizzare un forte incremento di produttività agendo soprattutto sulle condizioni organizzative e meno possibile sull’aggiornamento tecnologico. Se si cambiano i macchinari sono investimenti da ammortizzare, mentre se si fanno sgambettare di più gli operai il profitto aumenta senza costi di ammortamento.


Pertanto Confindustria si era presentata al tavolo per il rinnovo contrattuale con l’idea di portare a casa pochi aumenti e tutti sule retribuzioni a cottimo incentivo. Ma ottenendo in cambio grande margine di riorganizzazione degli orari e degli organici di reparto. E ciò, anche se non dichiarato apertamente, al fine di aumentare ritmi e carichi e indirizzare i conseguenti esuberi del personale verso l’espulsione.



Le trattative che si volgevano a Milano erano iniziate ancora nel 1967 ma si interruppero presto per lasciare libere le parti alla iniziativa aziendale. Ciò significò a Valdagno un incremento di conflitualità che non si era mai visto prima. Molti erano i giovani operai della nuova generazione nata subito dopo la guerra; e questi non accettavano i nuovi ritmi, nè avevano la tradizionale defernza verso Marzotto. La stessa vecchia generazione riservava la propria deferenza verso il vecchio Gaetano, ma non verso i suoi figli. I cosiddetti "conti correnti" (per via delle mille miglia).  


Ma la causa esasperante che portò la tensione al massimo fino agli scontri del 19 Aprile '68 con l'abbattimento della statua comitale fu il clima di forte repressione. La storica stazione dei Carabinieri venne rafforzata con la presenza della Celere, un corpo di polizia specializzato nella repressione delle manifestazioni operaie. E gli operai risposero con picchettaggi di massa e sassate.


Vi furono decine di fermi e arresti. Tutte persone locali, abitanti della vallata. Nessuno studente trentino. Lo scontro fu una resa dei conti  tra Marzotto e la sua città. La fine del paternalismo.




lunedì 9 aprile 2018

Omniavulnerant: La Siria e i tabù dell'informazione

Omniavulnerant: La Siria e i tabù dell'informazione: Leggo sul Fatto Quotidiano un demoralizzante articolo sulla Siria che riporta notizie infondate e umilia l’onore giornalistico d...

La Siria e i tabù dell'informazione









Leggo sul Fatto Quotidiano un demoralizzante articolo sulla Siria che riporta notizie infondate e umilia l’onore giornalistico della testata. Il Fatto Quotidiano è nato quando nessuno lo voleva e, tra gli addetti al mainstream, nessuno ci credeva. Ed ha vinto. Non solo è sopravvissuto all’ostracismo dei fogli servili, ma ha avuto tra il pubblico quel successo che meriterebbe ogni giornalismo d’inchiesta. 

E’ un nobile esempio di informazione indipendente e professionale. Ma solo sugli interni. In politica estera si allinea umilmente al mainstream dell’informazione propagandistica. Anzi a quella puramente militare. Pubblica le bugie di guerra della NATO e sulle sue pagine non appare mai una critica agli alleati militari dell’Italia. Quando il mainstream non sapeva come comportarsi con l’alleato ERDOGHAN, perché a causa del golpe attaccava gli americani, FQ si affidava alle corrispondenze di una inviata che non si è mai permessa una critica al mito, si fa per dire, statunitense. 

In Siria non c’è e non c’è mai stata alcuna primavera araba. E’ in atto una aggressione bellica mascherata da insurrezione che risponde solo agli interessi strategici dell’asse israelo-saudita, un asse geopolitico che si muove sotto il patrocinio delle petro-oligarchie statunitensi. E’ il segreto di pulcinella per chiunque segua la situazione internazionale, ma è anche il tabù dell’informazione occidentale. Non lo si può scrivere sui giornali né tantomeno dire in TV. 

Ciò deriva da impegni riservati, scritti sui trattati di pace del secondo dopoguerra. Lo sappiamo oggi con certezza storiografica grazie alle inchieste come quelle, per fare solo un esempio, di Fasanella e Cereghino. Non si può scrivere, né tantomeno fare inchieste per dimostrarlo, come dimostra il caso di Mauro De Mauro, che gli USA sono intervenuti a combattere, bombardare e invadere l’europa occidentale in cambio di espliciti impegni ad accettare di sottomettersi ad un regime di dipendenza energetica petrolifera postbellica. E chi non sta al gioco paga conti capitali. In nome della sacralità di questo tabù son morti personaggi come Enrico Mattei, Omar Torrijo, Salvador Allende, Saddam Hussein, ma anche Pasolini, Aldo Moro, ecc. In funzione della dipendenza petrolifera sono accadute tragedie come il Vajiont e l’intero occidente ha subìto il terrorismo palestinese. Ora, in nome di uno scenario post-petrolifero in via di costruzione tocca ad Assad perché su quel territorio dovranno passare le reti idro-carbo- gasifere del domani, sui cui progetti di lungo periodo ha già investito la finanza sunnita.

Per questi progetti, per la loro sostenibilità finanziaria, hanno preso corpo gli accordi di globalizzazione e sono in atto migrazioni epocali. E su questi altari muoiono milioni di persone all’anno.


Non si può certo pretendere che i tre/quattro giornalisti eroici che hanno creato il Fatto Quotidiano si mettano contro corrente. Ne sarebbero travolti e con loro anche la fettina di verità che quotidianamente rivelano. Un lutto troppo forte e controproducente. Meglio che continuino ad occuparsi solo dell’Italia.

Ma l’articolo che leggo oggi va oltre questo confine. Quest’articolo informa sulla Siria tramite una corrispondenza da Gerusalemme (sic). Questo articolo dice senza mezzi termini che “il gas di Assad fa strage” e che “Assad sta violando l’accordo per la rimozione delle armi non convenzionali dalla Siria … del 2013”. Ma su quali basi lo scrive? Quali sono le fonti e quali sono le verifiche e gli approfondimenti di queste notizie? Chi dice queste cose? Dove sono le prove?


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Quando penso alla differenza che c’è in termini di attendibilità tra questo articolo e, per esempio, un’inchiesta di Marco Lillo su Consip ove non c’è una parola che non sia documentata, mi vengono le tristezze. Per quale dannata ragione i bravi giornalisti che dirigono il Fatto Quotidiano accettano senza scandalizzarsi che il loro giornale venga insozzato dalle bugie di guerra? Un giornale che riesce a dire la verità su Consip, su TRenzi, su Monte Paschi, su Berlusconi e la Mafia non può dire la verità sulla Siria?

Amen

MAGNIFICAT, di John Rutter

  John Rutter è un direttore di coro e compositore contemporaneo di chiara fama e talento. La sua musica corale è accessibile, apprezzata ed...