sabato 30 gennaio 2016

WW3: Cospirazioni geopolitiche








In tutte le rivoluzioni come quella bolscevica e quella francese dietro le sommosse di piazza c’è una regia occulta con interessi diversi da quelli civili. Interessi e valori completamente avulsi da quelli che ci vengono insegnati a scuola.


Lo scrive Enrica Perucchietti su Mistero di Dicembre 2015, rivista del gruppo Mediaset che in questo numero dedica, tra l’altro, due articoli a temi d’attualità politica internazionale normalmente accantonati dal mainstream casereccio. Il primo riguarda le primavere arabe viste come proiezione di piani eterodiretti per la destabilizzazione di regimi consolidati. Il secondo il TTIP.


Sono trent’anni, scrive Perucchietti, che varie società ed enti privati gravitanti a Washington collaborano con Il Dipartimento di Stato e la CIA per la realizzazione di piani strategici ufficialmente negati.Ad esempio gli attivisti locali che hanno dato vita alle proteste di Serbia, Georgia, Ucraina e Kirghizistan erano finanziati ed addestrati da Washington.

Si tratta di una strategia finalizzata agli obiettivi geopolitici di Washington, simile a quella utilizzata dalle strutture Stay Behind nei decenni precedenti per la mimetizzazione nella società civile.

Il punto da cogliere è che si tratta di tecniche finalizzate al controllo e/o alla destabilizzazione delle leadership dei propri alleati, non dei nemici.

In Tunisia i leaders deposti si sentivano forti dell’appoggio occidentale e perciò si sono trovati del tutto impreparati di fronte alla forza dei ribelli. In particolare fin da subito i manifestanti rivelavano conoscenza ed esperienza in tecniche di disobbedienza civile. 

E’ questo scarto di preparazione, che per esempio non ha avuto in altre occasioni Erdogan, a determinare il vantaggio dei mandanti.

Da dove veniva questo know how prima impensabile nel mondo arabo?? 

Dall’occidente atlantista il quale, dopo la crisi del 2008 ha iniziato a coccolare la finanza araba aprendosi ai nuovi desideri geopolitici dei finanziatori qataro-sauditi. I giovani nordafricano avevano manuali di “tattica della guerriglia urbana” tradotti in arabo dall’inglese.


Si tratta di nuovi movimenti di protesta che non usano la forza propria del vecchio modello castrista/palestinese, ma che si organizzano in reti secondo il modello “Otpor!” che scalzò Milosevic.

Perucchietti fa riferimento alla ricerca di Alfredo Macchi sugli eventi del 2011, tutti documentati nel suo “Rivoluzioni S.p.a.” Analisi che hanno riconosciuto il fenomeno fin dall’inizio ma che sono state accantonate dai media se non proprio censurate.
Si tratta di cose che riviste e monografie specialistiche come Limes hanno già presentate alla opinione pubblica. Ad esempio c’è un articolo di Emanuela C. Del Re apparso su Limes n°3 del 2011 nel quale, analizzando la prima fase del movimento rivoluzionario che ha travolto Mubarak si evidenzia la “non spontaneità” di quanto sta accadendo in quei mesi e si ricostruiscono i legami e le analogie tra il gruppo di protesta 6 Aprile e Otpor.
C’è poi Scientific American del Febbraio 2011 che indaga le sintonie tra la rivoluzione egiziana e le teorie di Gene Sharp sull’attivismo non violento.


Tutto ciò era già simbolicamente ostentato da una foto famosa, che ha fatto il giro del mondo nei primi mesi del 2011: la donna islamica che affronta i poliziotti con il giglio nel pugno, logotipo di Otpor.





Pertanto le primavere arabe sarebbero solo un passo avanti nella cospirazione NVO (New World Order) ottenuto perfezionando nuove tecniche di manipolazione politica già sperimentate nel ventennio precedente.



Non ci vedo niente di paranoico in questa analisi.

Ma, evidentemente, per renderla dicibile occorre aggirare l’intervento di Big Brother mimetizzandola tra misteri, esoterismi e spiritismi vari…




Morale




"When money talks, truth keeps silent."










domenica 17 gennaio 2016

WW2, i Krupp







Abbiamo visto in un precedente post che la fortuna dei Krupp è sempre stata legata alla guerra, anzi all’innovazione che loro portavano nella guerra in termini di aggressività.  No guerra No Krupp.

Ovviamente l’enorme dimensione della loro attività e il loro peso politico sociale nelle varie epoche metteva in secondo piano l’altrettanto enorme montagna di cadaveri che col passare dei decenni si accatastava alla base dei loro profitti. E non si tratta solo di militari e civili che cadevano al fronte, ma anche di caduti sul lavoro.


Al festeggiamento del centenario industriale Krupp (Agosto 1912) davanti ad un sistema industriale di circa 70.000 dipendenti, il Kaiser partecipò in grande stile, ma dovette decretare la sospensione delle cerimonie perché a Bochum, vicino ad Essen, crollarono le miniere causando 110 morti.



                                                                       °°°



La guerra (WW1) passò e fu perduta con tutta la sua drammaticità e, come abbiamo visto in un precedente post, i Francesi avrebbero voluto distruggere totalmente gli impianti di quell’enorme bestione armageddone, ma non ci riuscirono perché il rischio sociale (cioè una rivoluzione simil-bolscevica) sarebbe stato troppo grosso.

Ciò diede un po’ di respiro alla famiglia krupparola la quale ebbe il tempo di ricomporsi le idee e, negli anni trenta, ricostruire l’alleanza politico – militar – industriale che costituì una delle premesse a WW2. 
Un vero e proprio “fascio d’acciaio” lo definisce con geniale precisione Pietro Bianchi su Storia Illustrata (n° 212, luglio 1975).


Con Hitler al potere il nostro Gustav, marito di Bertha Krupp(jr), rilanciò la fabbricazione di armi ad Essen. Stavolta però, memore della batosta ww1, aggiunse la produzione di carri armati. E ciò costituì il fattore vincente per tutta la prima fase di ww2.


                                                                 °°°



Blitzkrieg

Fu un nuovo modello di guerra basato sull’apporto di carri armati, aerei da caccia e telecomunicazioni. Il 1° Settembre 1939 i panzer tedeschi attraversarono il confine dirigendosi verso Varsavia. Era l’invasione della immensa pianura Polacca.  Il 17 settembre un primo tentativo di conquistare Varsavia, accerchiata, fu respinto; “ma lo stesso 17 l’URSS, con le proprie armate, invase la Polonia dalla Prussia orientale”. (Rosati)


Tra il 10 Maggio e il 14 Giugno del 1940 le armate tedesche invasero la Francia e giunsero a Parigi. L’aggiramento della linea Maginot e la velocità d’azione si rivelarono fattori chiave. E l’apporto delle industrie Krupp fu riconosciuto nella propaganda nazista.


Quando la famiglia Krupp tornò a dividersi a causa dell’ostinata ambizione di Alfried, figlio di Bertha e Gustav, per decisione di Hitler le fabbriche passarono nelle mani di Alfried e con la necessità di mandare gli uomini ai fronti di combattimento iniziò uno sfruttamento schiavistico di forza lavoro proveniente dai vari paesi dell’Europa occupata. Al tribunale di Norimberga molte testimonianze narrarono crimini e violenze, rivolte in special modo a prigionieri ebrei e slavi, che avvennero all’interno degli stabilimenti Krupp.

Alla fine del processo, che durò da Settembre del 1947 a Luglio del 1948, Alfried venne condannato a dodici anni. Ma ne scontò solo tre mentre attraverso Berthold faceva marciare la ditta. Evidentemente gli americani, impegnati in Corea, si erano ricordati dei Krupp e nel 1951 Alfried riprendeva a pieno titolo il ruolo secolare della sua famiglia, ovvero il glorioso ruolo di armigero dei potenti. Egli morì il 30 Luglio del 1967.





Il figlio Arndt non aveva talento per l’industria e favorì l’unificazione delle officine in società per azioni disimpegnando così la dinastia e godendosi la vita di Play Boy internazionale con sede nella sua proprietà brasiliana dotata di aeroporto personale in un parco naturale con giardini alla Versailles.





                                                  (i krupp ad Esssen nel 1961)




Morale

De siori ghe n'è tre sorte:
Sior Sì; Sior No e Sior mona.





giovedì 14 gennaio 2016

WW1, i Krupp





La storia di questa importante famiglia di armigeri tedeschi ha inizio all’epoca della Guerra dei trent’anni quando Arndt Krupp appone, nel 1587, la propria firma nel registro dei commercianti della città di Essen, nella Ruhr.  Costui morì nel 1624 e il figlio Anton sposò Gertrud, figlia di un fabbricante d’armi.


Un altro paio di generazioni e la Ruhr cambia pelle iniziando precocemente la propria rivoluzione industriale grazie alla locale ricchezza di carbone.


Il 1 Settembre del 1870 nel pieno della guerra Franco-Prussiana, a Sedan alle sette del mattino il potente generale McMahon alla guida dell’Armata francese viene colpito da una scheggia di granata. Cede il comando, la battaglia infuria e alle 16 del pomeriggio il re Guglielmo cambia tattica e ordina il bombardamento della città. Poco dopo compaiono le bandiere bianche. E’ la resa dei francesi.

17.000 tra morti e feriti; 85.000 prigionieri (l’intera armata superstite) tra i quali l’imperatore Napoleone III. L’Alsazia e la Lorena vengono cedute ai tedeschi e il re diventa Guglielmo I, Imperatore di Germania. Nasce il mito: si diffonde la leggenda che a vincere siano stati i cannoni dei Krupp. L’agghiacciante decisione di bombardare i civili viene dimenticata.

Aiutato dalla nuova fama leggendaria Alfred Krupp, il marito della famosa Bertha, si costruisce l’altrettanto famosa villa da trecento stanze. Cannoni, rotaie e fucili. Egli diviene famoso in tutto il mondo e da tutto il mondo riceve nuove commesse. Si candida in politica.

Ma gli operai non lo vogliono e alle elezioni viene battuto proprio da un suo ex operaio candidato nelle liste socialdemocratiche. Poco male. La sua ideologia concepiva l’operaio come un robot iperproduttivo che doveva anche dare nuovi nati alla patria e all’industria. Quando morì però, i suoi dodicimila operai non vollero perdersi il suo funerale e lo illuminarono con l’accensione di 12.000 torce.


Il figlio Fritz divenne più ricco di Guglielmo II estendendo la produzione alle blindature per le navi di una marina imperiale in sempre più forte crescita al fine di diventare più grande di quella inglese.
Ma, stabilitosi a Capri, fu coinvolto in uno scandalo sessuale legato alla sua passione per gli artistici nudi maschili e si tolse la vita.

La sua prima figlia nonché erede dell’attività paterna, si chiamava pur ella Bertha in ricordo della Nonna. Costei fu indotta dal Kaiser a sposare Gustav von Bohlen il 15 Ottobre 1906. E fu la sua fortuna. Al termine di WW1 infatti fu lui, Gustav, ad andare in galera a scontare una condanna a 15 anni inflittagli dal tribunale militare francese. Guglielmo II infatti aveva suggerito alla giovane Bertha un marito che assicurasse all’impero armi sempre più preziose ed in gran quantità e che le facesse, di fatto da scudo.

Il parvenu von Bohlen usava, ovviamente, il cognome Krupp e favoriva ruffianamente la megalomania imperiale. Ma le corazze e i cannoni forniti alla flotta erano considerati deludenti soprattutto dalla marina tedesca che il 3 Novembre del 1918 si ammutinò determinando la fuga in Olanda di Guglielmo II.

Intanto i carri armati britannici avevano, dopo quattro terribili anni di guerra, sfondato ad Amiens determinando la fine del conflitto.



Le officine Krupp furono sottoposte ad ordine di smantellamento da parte degli alleati il 29 Maggio del 1920. Vi fu una resistenza degli operai che causò alcuni morti. Gustav ne approfittò per organizzare funerali grandiosi con tre giorni di manifestazioni. Ma i francesi, che stavano occupando tutto il bacino della Ruhr, accusarono e processarono Gustav di aver incitato alla ribellione i suoi operai. Da qui la condanna a 15 anni, ma la prigione lo trasformò in martire agli occhi dei suoi concittadini. L’inflazione iniziava a sconvolgere l’economia tedesca lasciando intravvedere gravi rischi politico sociali. E pertanto Gustav venne rilasciato a fronte del pagamento di una enorme ammenda dopo aver scontato meno di un anno di galera.  Fraternitè, Egalitè e, appunto, Libertè.

Gustav tornò ad Essen come un vittorioso. E negli anni trenta cominciò a tenere d’occhio l’ex caporale Adolf Hitler col quale, dopo opportuno foraggiamento, ricostruì in forma aggiornata l’alleanza guglielmina: Grande industria, nazisti e generali.




Il resto alla prossima puntata, anzi Postata









mercoledì 13 gennaio 2016

WW1, gli Schneider





SCHNEIDER versus KRUPP. Non sarebbe corretto, perché troppo riduttivo, ricondurre WW1 ad una competizione tra le due principali fabbriche di cannoni d’Europa, ma in realtà ci siamo vicini.

Nei decenni precedenti allo scoppio, Francia e Germania avevano ingaggiato una feroce battaglia industriale centrata soprattutto sui profitti dei due principali capitalisti del settore siderurgico.


L’Italia fino al 1915 era molto indietro nella industrializzazione e non era il settore siderurgico a tirare. L’esplosione produttiva avviene appunto con la guerra quando tra il ’15 e il ’17 i profitti industriali passano dal 6,30 al 16,55% sull’economia totale.  Secondo i dati della commissione che nel dopoguerra indagò sugli illeciti degli industriali italiani che avevano speculato sulle commesse belliche, nello stesso periodo l’industria automobilistica (camion e carri blindati) quadruplica, la chimica (gomme) raddoppia e i tessili (cotonieri) crescono dodici volte. Ma questo è niente in confronto alla enorme crescita che Francia e Germania avevano realizzato nel trentennio precedente. Eugenio Schneider (primo) aveva iniziato con cannoncini in bronzo e poi vagoni e locomotive fino al 1870 quando, sostenuto dal ministro Thiers, fonde il primo colossale cannone d’acciaio per sovrastare l’analoga crescita dei tedeschi Krupp.

Suo figlio Henri (che va pronunciato alla francese) riconvertì la produzione dai vagoni ai cannoni e alle corazze per carri, bunker e trincee. Inventò e presentò sul mercato libero il cannone da 75 che era più grande e potente di quelli tedeschi ed iniziò a vendere all’estero, fornendo in particolare i bulgari i quali, più tardi, li avrebbero usati proprio contro la Francia.

In questa crescita egli era interamente appoggiato da tutto il ceto politico. Il Parlamento francese approvò una apposita legge per la libertà di esportazione in ogni paese europeo. Notare che siamo negli anni ’80 e ‘90 dell’ottocento, in epoca di, ormai tardo, romanticismo, quando la cultura dominante forniva grandi alibi morali al mercato delle armi. 

Un esempio per tutti può essere dato da Arthur Rimbaud nella sua parabola biografica da grande poeta giovanile a spregiudicato mercante di fucili in Abissinia.


Nel 1898 ad Henri succede Eugene II (si pronuncia deuxième e non junior in ossequio alla cultura imperiale dell’epoca… alla faccia della Republique!) sotto la direzione del quale la Schneider esporta in 24 anni, cioè fino all’inizio WW1, 45.000 CANNONI. Si tratta indicativamente di 1875 cannoni all’anno, oltre 150 al mese…

Questa enorme quantità vale meno della metà dell’intero business armageddone dell’epoca e spiega la necessità di giungere alla guerra se non altro per saturazione delle scorte… Puntualmente infatti, dopo i primi mesi quando il conflitto cessa di essere “di movimento” e si stabilizza in “guerra di posizione” il governo francese si rende conto di dover rapidamente migliorare la qualità della fusione e aumentare il calibro dei propri cannoni difronte a quelli della Krupp. I cannoni Schneider da 75 infatti in battaglia esplodono come mortaretti.  Inoltre nell’Aprile del ’15 a Ypres arriverà il trauma del gas mostarda lanciato dagli obici Krupp. Succede quindi che il Governo francese autorizza un enorme sforzo di rilancio della produzione che porta gli operai addetti agli stabilimenti Schneider a 50.000.


Tuttavia nonostante la vittoria, dopo la guerra il colosso siderurgico crolla; non solo smette di crescere e si ridimensiona com’è comprensibile, ma diventa anche estremamente impopolare. La famiglia Schneider viene accusata, soprattutto dalla propaganda di sinistra, di essere la vera detentrice del potere politico ed economico. Anche i giornali borghesi lanciano tra i lettori concorsi finalizzati allo scherno. E la cosa durerà decenni al punto che quando nel ’36 il Fronte Popolare vince le elezioni e prende il potere l’impero Schneider viene nazionalizzato.


E’ un lucido esempio di come la guerra non serva allo sviluppo. Gli immensi guadagni di fabbricanti come questi servirono soltanto ad accrescere gli squilibri sociali ed aumentare i conflitti tra le classi. Grandi profitti, solo conseguenze negative.






Sappiamo bene che poi arrivaWW2 e la situazione evolve in senso tutt’altro che felice; ma rimarrà agli atti della storia che gli operai francesi misero fine al potere di questa potente famiglia.








martedì 12 gennaio 2016

WW1 Bonne Année





Lo storico Giovanni Mantese nel suo libro sulla storia di Schio uscito nel 1955, scrive:

La popolazione scledense stentava a mettersi sul piano di guerra. Dopo il 1848 non aveva più sentito sparare il cannone ed era assai lontana dall’immaginare le terribili conseguenze di una guerra moderna…
Spuntò il tragico 1916 che doveva seminare la morte e la strage su tutta la nostra fronte vicentina, oltre ad un terribile panico tra la popolazione, sulla quale incombeva lo spettro della invasione nemica.”




Situazione dopo il ’15.

I primi sette mesi di guerra erano stati caratterizzati soprattutto dalle battaglie sull’Isonzo.  E tra il 23 giugno e il 2 dicembre gli italiani scomparsi erano già 280.000 tra morti, feriti, dispersi e prigionieri. Come reagiva il paese? Ernesto Brunetta nel suo libretto dedicato al Veneto nel 1916 ne fa il punto (1916 Veneto Zona di Guerra, EDITORIALE PROGRAMMA, Treviso 2015).


Quando lo Stato incaricò i Reali Carabinieri di procedere ad una indagine sulle famiglie dei soldati defunti per stimare il fabbisogno in termini di sussidi venne fuori ancora una volta l’estrema povertà del Paese. In un rapporto dell’Arma osserva soprattutto il fatto che l’indigenza pervade il mondo contadino. Gli operai sono in buona Parte esentati dal servizio per poter essere utilizzato in particolare nelle fabbriche ausiliarie. Un operaio metallurgico guadagnava 120 lire al mese, una bidella 54, un professore di scuola tecnica 363,90.

Il sussidio corrisposto alle mogli dei soldati, esteso poi alle vedove, venne portato a 60 centesimi al giorno.


I Calmieri.

I Prefetti erano incaricati di stilare il calmiere dei prezzi. Ma dall’inizio del 1916 nelle zone militari, quale era stata dichiarata Valdagno, la competenza sui prezzi dei generi alimentari passò ai comandi di Corpo d’Armata. Il nostro aveva sede a Schio e prevedeva per il latte prezzi più bassi di quello prefettizio. Precisamente 22 contro 25 centesimi al litro (vedi Maurizio Dal Lago “Valdagno e i Marzotto 2009). 
Il comune di Novale non era stato dichiarato zona di guerra e pertanto nel suo territorio il latte poteva essere venduto a 25 centesimi. La questione generò una disputa amministrativa che si risolse con l’adeguamento da parte dei militari del prezzo del latte innalzandolo da 22 a 25 centesimi al litro con delibera del 7 Giugno. Nei mesi di mezzo i nostri produttori si astenevano dal portare il latte al mercato di Valdagno, preferendo venderlo a Novale.

Al giorno d’oggi, a prima vista, sembrerebbero cose da poco, ma G. Brunetta (pg 18) ci fa un esempio che ci riporta alla miseranda realtà di cento anni fa.

Vicino ad Udine un chilo di pane calmierato costava da 48 a 60 centesimi di Lire, la farina da polenta 38 a chilo, il latte 25 centesimi a litro mentre la legna da ardere costava 40 centesimi al miriagramma (10 chili). La moglie del richiamato poteva quindi comprare poco: rinunciando al pane poteva prendere un po’ di legna, polenta e latte.

Il rapporto dei Carabinieri inoltre prevede il rischio di andare al regime di razionamento per controllare il mercato dalle speculazioni, cosa che avverrà nel 1917. Inizia anche una politica di risparmio e contenimento dei consumi.

Con l’anno nuovo quindi arrivano le ristrettezze alimentari e il malcontento si somma alla miseria endemica del Veneto contadino. Nelle zone di guerra, come Valdagno e Schio, le famiglie operaie, pur nel quadro di ristrettezza, beneficiano di qualche attenzione.

Ezio Maria Simini, nel suo bel libro “il nostro signor capo” uscito nel 1980, riporta alcuni passi della relazione al bilancio dell’esercizio 1916 della Lanerossi ove vi è traccia degli aiuti e dei sussidi predisposti dall’industria per le famiglie degli operai profughi “… anche a costo di ridurre – in un’annata già così critica – gli utili del capitale…



Morale e licenze

Il rapporto dei carabinieri citato da Brunetta (16 Febbraio 1916) dice quindi che gli operai stavano meglio (si fa per dire) ma non nega però il drastico mutamento di clima che caratterizza il nuovo anno.

Si denuncia un preteso disfattismo di qualche sacerdote (il nuovo papa Benedetto XV aveva preso posizione dura contro la guerra) e il basso morale della popolazione come fatti causati dai discorsi sentiti dai soldati ritornati dal fronte in licenza. E la risposta cadorniana, ovviamente, sarà quella di ridurre le licenze.

Cadorna aveva già iniziato a contenere le licenze in Ottobre, ma ora aumenta la frenata e il 4 Maggio del ’16 i prefetti intervengono sui sindaci per restringere i criteri di valutazione quando certificano l’esistenza di gravi problemi in famiglia per coloro che chiedono licenza.

Ma anche senza licenze a determinare il nuovo clima ci furono le lettere dal fronte.  Ce ne sono vari esempi in letteratura (non ultimo il recente libro di Aldo Cazzullo, La guerra dei nostri nonni) ma per coglierne il sentimento a me basta questa frase:


Vigliaco d’un governo Itagliano diun traditore asasino sarebero caso … di fucilazione cominciare da quel vecchio schifoso di Cadorna e fino ai suoi schifosi deputati e tutta la Camera, delinquenti.”

(27 Settembre 1916, un veneziano alla sua famiglia.)



                                                                       °°°

Nel suo diario il tenente Attilio Frescura si congeda dall’anno 1915 con queste parole:
“1915: anno di guerra! Eppure se io vi ripenso,
il carro oltre passò col carco di fieno
e ancor ne odora la silvestre via…

Era ancora ottimista, seppur nel suo cinico scetticismo, ma lo sarà ancora per poco…


venerdì 1 gennaio 2016

Il mio cuore è con il Fatto. Buon anno!








Il Fatto Quotidiano è l’unico giornale che pago solo se voglio, decidendolo ogni giorno, a seconda se mi va oppure no. Certo gode anch’esso del credito di imposta sulla carta che non può evitare, ma c’è una legge che obbliga gli italiani a sostenere con soldi pubblici tutti gli altri quotidiani ed è a questo che il Fatto rinuncia dichiarandolo programmaticamente sulla testata. Intendo dire che se non lo compro non lo pago, come invece mi tocca fare per tutti gli altri quotidiani. Per fare un esempio il Giornale mi sta sulle balle (ed è un mio pieno diritto, com’è diritto dei suoi lettori considerarlo fantastico), e perciò non lo compro. Ma lo pago lostesso.
Questo piccolo paradosso, piccolo ma grande, grande come una tomba, come quella di Adamo Smith il quale vi si rivolta dentro già da molto tempo, vale haimè anche per Il Manifesto, quotidiano comunista ma evidentemente un po' ipocrita. 

Siamo in una democracy talmente ipocrita che sostiene i giornali che vanno bene al proprio regime invece di lasciarlo fare ai lettori. E questo anche se dietro vi si nascondono robustissimi poteri economici. Pensiamo ad esempio a La Repubblica con De Benedetti, ma anche a Berlusconi.
Certo, si può obiettare che è così da secoli (mi riferisco ai potentati economici che controllano la stampa) e che pertanto anche il mio lamento è ipocrita, ma resta il fatto che se io domattina non compro il Fatto Quotidiano non lo pago mentre non posso dire altrettanto di tutti gli altri. Qualcuno di essi è addirittura nato con l’esplicito intento di sfruttare i finanziamenti pubblici e sono quelli letti in pratica solo dagli altri giornalisti. 
Ci sono poi altri quotidiani storicamente importanti come L’Unità, già morti e sepolti dal mercato perché appartengono ad un’altra fase storica e non l’hanno capito, oppure, come ho già detto, Il Manifesto che oggi non ha più niente di niente, salvo la storica capacità di fare eccellenti e simpatici titoli. Ebbene io domani pagherò anche quelli indipendentemente da ciò che sceglierò di fare.

Poco male, si tratta della parte millesimale di un Euro e mezzo, ma per me conta il principio. E anche i contenuti, visto che mi trovo spesso d’accordo. Certo, ad esempio: se fosse un pochino più indipendente sulle questioni internazionali sarebbe ancora meglio. (E non è una cosa impossibile nonostante l’esistenza della NATO e del Mossad, come del resto insegna proprio il Manifesto con Giuliana Sgrena).
Ma è meglio non chiedere la luna, sarebbe come chiedere a Furio Colombo di abbandonare le sue storiche posizioni parasioniste… 



Detto questo comunque, onore al merito. Fino ad oggi il Fatto Quotidiano ha dimostrato che avevano ragione proprio quelli come Colombo, Padellaro, Travaglio e tanti altri che hanno scommesso sulla possibilità di fare informazione sulla carta stampata anche senza la stampella pubblica. Bravi!

Auguro a loro e a tutto il mondo del Fatto Quotidiano: Lunga vita!

Grazie e buon anno.



Un lettore indipendente.

MAGNIFICAT, di John Rutter

  John Rutter è un direttore di coro e compositore contemporaneo di chiara fama e talento. La sua musica corale è accessibile, apprezzata ed...