domenica 22 novembre 2015

WW2: Norimberga e SPECTRE








Il Fatto Quotidiano del 20 Novembre, in occasione del settantesimo dall’inizio del processo di Norimberga (1945), ripubblica un eccellente articolo di Massimo Fini che era già uscito su L’Europeo il 6 settembre 1986.

In tale articolo Fini esamina criticamente la validità reale, nei suoi termini storico-giuridici, di tale “processo” e produce argomentazioni che trovo assolutamente valide e condivisibili.

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Con i processi di Tokio e Norimberga i vincitori, per la prima volta nella storia, giudicarono i vinti. Ma chi ha dato loro tale diritto? 
A pochi giorni dall’inizio del processo, il 1^ Dicembre del 1945, il settimanale The Nation pubblicava le riflessioni di un illustre penalista americano (Rustem Vambery) il quale osservava che con quei processi venivano reintrodotti principi e nozioni discutibili come la retroattività, la presunzione di reato futuro, la responsabilità collettiva di gruppi politici o razziali ecc. che nella storia del Diritto penale erano stati progressivamente esclusi con lungo travaglio. 

Benedetto Croce in un successivo discorso presso l’Assemblea Costituente, aveva parlato di “tribunali senza alcun fondamento di legge” e Massimo Fini commentando tali osservazioni precisa che non si mette in discussione la “potestà dei vincitori di punire i vinti” bensì la pretesa di farlo nel nome del diritto.



Il fatto è che il processo di Norimberga, a giudizio di Fini, fu una “creatura largamente americana” e ne esprime “tutta la strisciante ipocrisia”. Con esso infatti venivano scardinati fondamentali principi come la irretroatività della legge penale, ovvero il principio in base al quale nessuno può essere punito per fatti commessi quando non erano considerati reati, e inoltre si faceva coincidere il diritto con la forza, quella del vincitore.



Per capire il fondamento di questa critica occorre ricordare che i capi di imputazione mossi a giapponesi e tedeschi non preesistevano al processo; essi sono: “cospirazione contro la pace”, attentati contro la pace e atti di aggressione” e poi “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”.


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E’ curioso osservare che tali accuse, se applicate al contesto delineato dal film SPECTRE nelle sale in queste settimane, sono pienamente ascrivibili al potere illegale sovranazionale ivi rappresentato e impegnerebbero pertanto le potenze giudicanti di Norimberga a perseguirlo, giudicarlo e punirlo. 

Forse è proprio per questo che la cultura ipocrita dominante espressa quotidianamente nel mainstream mediatico nega sistematicamente l’esistenza di una SPECTRE. Quando non si vuole perseguire un reato la strada principale da seguire è quella di negarne l’esistenza.



Quando in Italia non si voleva perseguire la Mafia la classe dirigente (dai vescovi ai politici) ne negava l’esistenza. E lo stesso vale per la corruzione e il mercato illegale di armi.







venerdì 20 novembre 2015

WW1, cento anni fa sull'Isonzo






Cento anni fa Gorizia veniva bombardata nell’ambito delle operazioni per la battaglia dell’Isonzo. Si tratta della quarta tra le undici offensive ostinatamente volute da Cadorna nell’illusione di arrivare presto a Trieste e di lì al cuore dell’impero: “Saremo a Vienna per Natale” disse il Gen. Porro.


Il Corriere della Sera, nel suo sforzo propagandistico, non trovò di meglio che ricorrere alla pubblicazione di una intervista raccolta a Berlino da un giornalista americano. In tale intervista l’arciduca Giuseppe esprime apprezzamenti per la qualità dei nemici, cioè i soldati italiani.

L’articolo esplicita fin dal titolo il proprio intento puramente retorico:

Stupendo omaggio dal campo austriaco all’eroismo delle truppe italiane

Quell’articolo, apparso Domenica 21 Novembre 1915, contiene alcuni passaggi dell’inviato nei quali vengono descritte le condizioni del campo di battaglia, vale la pena ricordarle:

“Da due settimane è piovuto a torrenti. Nella bassura lungo l’ISONZO vi è un mare di fango che sovente giunge all’altezza dei fianchi dei soldati mentre le trincee tagliate, forate meccanicamente nella roccia o prodottevi per mezzo di mine lungo le erte pendici, si trasformano durante i diluvi in veri torrenti di montagna. E’ contro questo caos che le batterie italiane pesanti grandinano dalla pianura proiettili e shrapnels dando alle alture e alle trincee l’apparenza di vulcani.”

E ancora, più avanti, sulla difesa di Gorizia:

La chiave non soltanto di Gorizia, ma dell’intera fronte austriaca dell’ISONZO è il Monte San Michele… Ad ora incredibilmente mattutina … ci recammo verso le pendici ripide del San Michele, parte delle quali erano ricoperte da un macabro tappeto di cadaveri in stato di decomposizione.”


Più avanti l’inviato americano chiede all’arciduca, (il quale in quei mesi dirigeva dal comando generale tutte le operazioni del fronte isontino), “come combattono gli italiani?” ottenendo la seguente risposta (così tradotta dal corrispondente italiano Stefani):

Dapprima sembravano timidi, ma ora combattono bene; ogni giorno sempre meglio. Avanzano con tremendo slancio. L’impeto loro è assai maggiore delle cariche russe; ma se resistiamo alla prima scossa, gli italiani tornano indietro, mentre i russi avanzano lentamente, ma persistono sinché non sono falciati dal fuoco. Il temperamento e l’impulsività degli italiani si rivelano dal loro modo di combattere. 

Gli assalti sono quasi sempre eseguiti da truppe fresche. Quelli che hanno fatto la carica e sono stati respinti vengono inviati dietro la fronte dove hanno modo di riposarsi. Questo è un sistema che Cadorna può mettere in pratica perché dispone di un numero di truppe tre volte superiore al mio. Io, disgraziatamente, non posso imitarlo”.



L’epopea relativa alle battaglie svoltesi su questo monte è entrata nella letteratura postbellica grazie ai versi di molti soldati poeti; innanzitutto Ungaretti il quale paragona la Pietra del San Michele fredda, dura e disanimata, al proprio pianto per concludere che “La morte si sconta vivendo”.

Anche il poemetto di Vittorio Locchi Sagra di Santa Gorizia, famosissimo tra i reduci del primo dopoguerra, descrive efficacemente la mota rossa delle pietraie seminate di morti che “guardano il cielo sotto la pioggia, sotto la bora”.


Non v’è dubbio che leggendo le memorie dei protagonisti, dotti o non dotti che fossero, ma certo capaci di scrivere, vi fu abnegazione ed eroismo tra le truppe, ma eravamo ancora nella fase iniziale di una tragedia che solo su quel monte produsse 112 mila caduti italiani morti o feriti nel tentativo di conquistare il monte.

Dall’ottobre del 1915 fino all’Agosto del 1916 – scrive Marco Mondini nel suo bel libro sui luoghi della Grande Guerra -  il Monte San Michele fu preso e ripreso cinque volte: alla preparazione della artiglieria italiana, che poteva durare ore o giorni seguiva l’immancabile balzo delle fanterie che espugnavano la cima. Il giorno dopo, o anche con un intervallo di poche ore, gli austro ungarici tornavano all’assalto, travolgevano immancabilmente gli italiani esausti e riprendevano possesso delle proprie posizioni.


Una “sanguinosa giostra impressionante” che il comandante Giuseppe Personeni ci ricorda nel suo libro “La guerra vista da un idiota” uscito nel 1922, con le seguenti parole:

I migliori soldati dell’esercito erano sciupati in attacchi inutili che non avevano altro compito che di mostrare al nemico che gli italiani sapevano morire.”


Ecco qundi il vero senso delle citazioni riportate nell’articolo del Corriere della Sera del 21 Novembre del 1915.






mercoledì 18 novembre 2015

Omniavulnerant: Dopo Parigi, temendo il panico

Omniavulnerant: Dopo Parigi, temendo il panico: Dopo Parigi Il quinto giorno dopo l’attacco metropolitano a Parigi, rivendicato da ISIS e contemporaneo al G20 in Turchia, la sta...

Dopo Parigi, temendo il panico





Dopo Parigi


Il quinto giorno dopo l’attacco metropolitano a Parigi, rivendicato da ISIS e contemporaneo al G20 in Turchia, la stampa cattolica italiana(Avvenire) titola sul tema dell’unità con la Francia; da intendersi non come solidarietà (concetto già espresso dal mainstream di ieri) ma come appoggio europeista allo sforzo difensivo.

La stampa massonica (International NYTimes) punta sulla dichiarazione di guerra di Hollande come se riguardasse la Francia in primis.

La voce dell’opposizione laica invece fa il punto su Pandora TV con Giulietto Chiesa, il quale focalizza l’upgrading strategico del progetto WW3.

È chiaro che il contesto occidentale è in difficoltà a causa dell’ossessivo tatticismo. 
L’editoriale dell’Avvenire infatti accanto a titolo politically correct espone una tesi contraria all’escalation, ovvero contraria ad Hollande che punta tutto sul rilancio bellico in termini di intelligence e corpi speciali. Gli americani invece (linea Obama) sono fermi sulle loro posizioni di No Boots on the ground e puntano sul rilancio bellico in termini di tecnologie globali (dove peraltro sarebbero egemoni). Il punto pertanto non è guerra si o guerra no, (su questo sono già tutti d’accordo, anche il vaticano), ma COME armare l’Europa per il rilancio bellico.

ISIS è stata creata dall’occidente per rendere inevitabile lo scontro bellico, ma ora l’occidente è diviso in vari modi, trasversali, geopolitici, religiosi ecc. e ciascuno vuole approfittare opportunisticamente del rilancio. Ci sarà quindi un maggior volume di investimenti security ma dopo una rinegoziazione del livello di debito.

Hollande ha già chiesto l’ulteriore sfondamento dei parametri Maastricht, Renzi vuole un ulteriore sconto sul rapporto deficit/PIL e soprattutto l’aggiramento delle sanzioni anti Putin per un maggiore rilancio del PIL. La GB vuole invece tenersi ben compartimentata la security anche i funzione anti ISIS, ma senza Putin ed Assad.


Tutte queste contraddizioni si sono manifestate nei maldipancia del G20 davanti ad un Putin vincitore sul campo siriano.


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Mi interessa ora annotare la sintesi di G. Chiesa perché è lapalissiana:


Coi fatti di Parigi siamo in una nuova fase di stretta antidemocratica che caratterizzerà la storia europea. Cambierà la vita dei cittadini i quali verranno immersi in un metal detector permanente. E’ la guerra, checchè ne dica Gentiloni.

L’Italia è certamente a rischio anche per il Giubileo. No lo si può negare, ma il pericolo sta nel mainstream che insiste sugli esecutori, i killer, senza mai denunciare i mandanti. In tal modo si attizza l’odio agli immigrati, i quali invece non c’entrano niente.

Hollande bombarda Raqqa in una strana rappresaglia contro coloro che sono stati addestrati a far la guerra da noi e che ora hanno deciso di farla contro chi vogliono rivoltandosi. Si monta una campagna per la ricerca dei killer i quali invece sono già tutti morti. Uccisi perché non parlino.   
Ma non dice la cosa più importante per i cittadini e cioè che i mandanti stanno anche in Europa e tutto è cominciato armando i ribelli che volevano abbattere Assad.

Nessuno nel G20 ha alzato la voce contro Erdogan il quale è il principale responsabile di questa situazione assieme a sauditi e americani. Come se Assad centrasse qualcosa col massacro parigino quando sono stati proprio suoi nemici a fare tutto questo. Spostare quindi il tiro dei bombardamenti da Raqqa a Damasco potrebbe quindi essere il nuovo fronte di scontro con la Russia, che non lo permetterebbe mai.

In tale situazione i cittadini europei, intontiti dal mainstream rimarranno ancora per molto vittime dei caos creato proprio dai loro governanti.


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Questo è il commento di Giulietto Chiesa, ora vediamo quello di Luigino Bruni su Avvenire:


Da sempre pochi ricchi colpevoli mandano molti giovani poveri ed innocenti a morire in guerra per la difesa dei propri interessi. Siamo dentro un nuovo tipo di guerra mondiale incomprensibile nei propri termini di inizio e fine. Gli interessi e gli interessati che sono in gioco sono invisibili. Ma ciò non deve esimerci dal pensare e dal combattere le tesi false e ideologiche. Soprattutto quelle che ci piovono addosso ora, nel dopo Parigi. L’Islam non è intrinsecamente violento: NEL CORANO il fratricidio tra Caino e Abele viene narrato in termini diversi dalla violenza che c’è invece nel racconto biblico ebraico-cristiano. Abele viene ivi rappresentato come il primo non violento della storia laddove egli muore per non diventare egli stesso assassino (Al Maidah Sura 5,28).

Ma oggi il settarismo fa del Corano il laccio di una trappola in mano al cacciatore di martiri. Gli amanti della vita devono aiutare l’Islam a guarire da questa malattia.
Non dimentichiamo che i terroristi belgi vengono dalla povertà e che la prima guerra del golfo (1991) non fu certo originata dal fondamentalismo.

Ma il punto importante sono le armi. Occorre parlarne e denunciare. Pochi giorni fa da Cagliari -  scrive Bruni – sono partiti i missili per la SIRIA prodotti e venduti dalle imprese italiane. (Qui manca una chiara allusione alle manovre NATO che hanno coperto il gran trasporto) E i politici che piangono e dichiarano lotta a terrorismo sono gli stessi che non fanno niente per ridurre l’export armigero. In nome del PIL e dei posti di lavoro.

Non si può nutrire il male che si vuol combattere, occorre una moratoria internazionale armi.

Holland – dice ancora Bruni – sbaglia quando usa la parola “VENDETTA”, se invece gridassimo a milioni a parola PACE nelle piazze, nei social e nei parlamenti daremmo grande eco alle parole di Francesco contro i bassi interessi economici che dominano il mondo.


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TEMENDO IL PANICO

Vediamo ora Paul Krugman su NYTime:

Come tutti ho seguito le news parigine mettendo da parte le altre cose. E’ certo una reazione naturale davanti al terrore, ma attenzione: è esattamente la reazione che vogliono i terroristi. E non tutti sembrano capirlo.

Prendiamo ad esempio la dichiarazione di Jeb Bush: “Si tratta di un attentato organizzato per distruggere la civiltà occidentale”. No, non è così. E’ un attentato organizzato per mostrare panico, il che non è esattamente la stessa cosa.
Anzi, dichiarazioni come questa rafforzano la causa jihadista.
La Francia ha i suoi problemi, ma ha anche una robusta democrazia e una profonda legittimazione popolare; il suo budget per la difesa è piccolo in confronto al nostro, ma esso non mangia le risorse per rafforzarsi.
L’economia della Francia è circa 20 volte quella della Siria e ISIS non sta muovendo alla conquista della Francia. Distruzione della civiltà occidentale? No, non è una opzione.

Che cosa è stato quindi l’attacco di venerdì?

Uccidere a casaccio gente al ristorante o al concerto è solo una strategia che riflette la debolezza fondamentale di chi la porta avanti. E non stabilirà un califfato a Parigi, rimarrà solo il tentativo di dare il nome di guerra a ciò che è solo terrorismo.
Il punto però non è quello di minimizzare l’orrore; quanto piuttosto quello di non sbagliare la risposta. Ad esempio illudersi su una pacificazione con ISIS in alternativa ad un unico contrasto congiunto da parte delle democrazie. Senza però perdere di vista che il terrorismo è solo uno dei tanti pericoli di questo mondo e non dobbiamo lasciarci distrarre. Ad esempio quando Obama descrive il cambiamento climatico come minaccia globale primaria ha perfettamente ragione.

Pertanto che fare in risposta a questo terrorismo?

Parigi può aver cambiato alcuni calcoli precedenti, come l’accoglienza dei rifugiati, ma l’obiettivo dei terroristi resterà solo quello di ispirare terrore perché è l’unica cosa di cui sono capaci. E la miglior cosa che possiamo fare in risposta è quella di evitare il panico.






lunedì 16 novembre 2015

PER TUTTO L’ORO DEL MONDO è l’ultimo di Carlotto





L’ambientazione ci riporta nel Nord Est, qui dalle mie parti, con le sue interazioni croato-adriatiche. C’è anche una puntatina a Bruxlelles dove, anche per la criminalità minore, si prendono sempre più le decisioni importanti.





Il nostro Marco Buratti, ispirato dalle tipiche cronache che si leggono con lo spritz, non sopporta la mancanza di etica professionale con la quale agiscono le nuove generazioni di criminali. Ed in particolare le rapine alle villette della bassa lo fanno incazzare. Lo fanno incazzare per la loro violenza, quando i rapinatori per ottenere la combinazione della cassaforte massacrano di botte, torturano ed uccidono.

So per esperienza che quando si commenta il Gazzettino, sempre tra uno spritz e l’altro, oppure il Giornale di Vicenza con l’ombra (vino bianco fermo per pensionati) il pensiero va ad est, in particolare contro gli albanesi. Ma questa volta è proprio dai nostri orafi che bisogna guardarsi e gli immigrati sono solo un albi di comodo.
Ultimamente il tema è diventato uno dei capitoli più avvincenti anche nelle campagne elettorali dei sindaci veneti, i quali cavalcano sempre più volentieri l’idea che i cittadini debbano accogliere a pallettoni i ladri moderni.

                                                           … .



Ecco, Massimo Carlotto in questo suo ultimo romanzo si occupa di questo e lo fa col suo stile consolidato. Devo dire però che ce lo serve regolando i conti in una ventata di buonismo. Ma proprio stavolta che i nostri sono buoni e aiutano i bambini, l'ispettore Campagna e la nuova capa che viene dai servizi segreti, incastrano Marco il quale peraltro, come ben sanno o suoi lettori cult, non è l'utimo arrivato...


Ma la cosa più carina del libro è la storia con Cora, una infermiera che canta il jazz e, senza tante complicazioni all'uscita, la molla con passione.


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This is the last Carlotto's novel.


The story is set in my region, the north east of Italy, where the croatian border attracts the crime of the former communist countries. But this time it will be the citizens of my country to become violent criminals under the guise of defending themselves against robbery at home...

In this novel Massimo Carlotto, the italian great cult writer, confirms his NOIRE style adding a touch of kindness... as a result you'll have a good reading!

giovedì 5 novembre 2015

Conspiracy gossip







Il numero di Giugno scorso della rivista Mistero pubblica un articolo di Enrica Perrucchietti nel quale si sostiene la seguente teoria cospirazionista.







La maggior parte dei rappresentanti mondiali è intrecciata da legami di parentela genetica. Una ragnatela di parentele alla quale non sfuggono neanche i presidenti USA.


David Ike ha evidenziato che i 44 presidenti che si sono susseguiti da Washington ad Obama nascondono una sorta di dinastia reale di tipo europeo. 34 discendono da Carlo Magno. 

Durante le campagne elettorali del 1996, Clinton/Dole, e del 2000 Bush/Gore secondo la rivista specializzata inglese Burke’s Peerage nelle contrattazioni più o meno riservate tra i candidati avrebbero contato in modo decisivo i geni, più che la politica, rivelando ad esempio numerose parentele genetiche tra i Bush e le famiglie reali decadute europee. Al Gore, cugino di Nixon, discende da Edoardo I d’Inghilterra. 

E lo stesso Obama, sul cui certificato di nascita vi sono molti autorevoli dubbi, potrebbe essere di discendenza reale. Non si sa se è nato ad Honolulu o in Kenya e l’attuale certificato considerato valido è saltato fuori solo nel 2012.







MAGNIFICAT, di John Rutter

  John Rutter è un direttore di coro e compositore contemporaneo di chiara fama e talento. La sua musica corale è accessibile, apprezzata ed...