venerdì 23 aprile 2021

Trump, John George

 




John George Trump è nato A New York il 21 Agosto del 1907 ed è morto il 21 Febbraio 1985. Fu professore al MIT dal 1936 al 1973. Egli non seguì la carriera di imprenditorialità edilizia del fratello e della sorella, preferì lo studio teorico dell’ingegneria e della fisica laureandosi prima a new York e prendendo il dottorato presso il MIT nel 1933. Durante WW2 egli ebbe la possibilità di partecipare allo sviluppo di tecnologie segrete lavorando presso la Radar Division, il cui chairman era il presidente del MIT, e divenendo nel 1942 segretario del Comitato per le Microonde. Ciò gli permise di collaborare con il Britain's Telecommunications Research Establishment.

Egli però è balzato alle cronache odierne che hanno visto suo nipote Donald Trump divenire Presidente degli USA, per la sua relazione con le ricerche di Tesla. Alla morte di quest’ultimo infatti, morte che avvenne a New York nel Gennaio del 1943, i progetti e gli appunti vennero messi in custodia e vennero affidati proprio a Trump, che a questo punto ne aveva le competenze, il compito di analizzarli e studiarli.

Nel 1952 gli eredi Tesla (la nipote) ottennero il diritto di rientrare in possesso delle proprietà del nonno e sessanta bauli vennero a più riprese inviati a Belgrado assieme alla ceneri che dal 1957 sono riposte in un mausoleo dedicato alla memoria dello scienziato. Ciò fu reso possibile anche dal fatto che John George Trump aveva dichiarato i materiali scientifici di Tesla da lui esaminati non pericolosi per la sicurezza nazionale anche qualora fossero finiti in mani nemiche.

 

Nel corso del 2019 in una delle tante polemiche contro Donald Trump molti giornali americani veicolarono la tesi che il Presidente fosse affetto da seri disturbi mentali e che i suoi tweet in particolare esprimessero un patologico desiderio di crudeltà e vendetta. Ebbene in quel frangente Donald Trump fece una dichiarazione secondo la quale egli si sarebbe fatto costruire “la più potente arma di distruzione mai posseduta da essere umano”. Potrebbe essere una tipica provocazione egocentrica oppure una preoccupante esternazione di portata geopolitica. Sta di fatto che le paure dell’opinione pubblica americana sono state in tale periodo alimentate da ipotesi giornalistiche secondo le quali Donald potrebbe essere stato in possesso di informazioni scientifiche segrete sugli studi di Tesla passategli da suo zio. Tali informazioni potrebbero quindi essere state sviluppate in una speciale arma segreta oggi in possesso del Pentagono.

Esiste quindi una tesi complottista sulle armi segrete Tesla-Trump. Essa in sintesi narra che non tutti i bauli contenenti l’eredità di Nikola Tesla sarebbero stati inviati a Belgrado negli anni cinquanta, ma una ventina di essi, contenente importanti tesi energetiche, sarebbero rimasti a disposizione della FBI fino al 1966 quando il Presidente Lyndon Johnson dispose lo scioglimento dell’ufficio (come quello dei mitici X-Files) che li conservava. Allora essi sarebbero tornati a disposizione del loro esaminatore al MIT. In effetti all’epoca si era parlato, senza suscitare particolare interesse, di un esperimento chiamato NICK PROJET per valutare la realizzabilità delle invenzioni Tesla. Sta di fatto che nella documentazione e la letteratura scientifica oggi disponibile sui materiali Tesla sembra vi siano dei riferimenti scritti dallo scienziato stesso a progetti di cui non si trova traccia né negli USA né nella ex Jugoslavia.

Si tratterebbe di “energia libera” e del famoso “raggio della morte” reso famoso dai fumetti americani. In pratica armi in grado di abbattere e/o distruggere aerei in volo senza lasciare tracce. Accidenti.

 

In ogni caso è utile sapere che nel corso del 2020 anche sulle riviste italiane è apparsa più volte la notizia che la startup neozelandese EMROD ha realizzato il prototipo per la trasmissione elettrica wireless cosa che permetterebbe l’elettricità senza fili e l’auto senza batterie. Ebbene il campo privilegiato dalle storiche sperimentazioni di Nicola Tesla era proprio la trasmissione di energia senza bisogno di cavi. Tra gli esempi che girano c’è quello della torre Khalifa, un noto grattacielo di Dubai che permetterebbe di posizionare un ripetitore a 828 metri di altezza, permettendo così la trasmissione wifi della corrente elettrica a distanze di 102 Km. Perbacco.

 




Il rapimento della figlioccia di John Lennon

 





Il 23 Aprile del 1971, mentre a Valdagno si contano gli incarcerati a Padova per l'abbattimento della statua di Marzotto, John Winston Ono Lennon e Yoko Ono vengono coinvolti nella vicenda nota come  Rapimento di Kyoko. 

Si tratta di Kyoco Chan Cox figlia di primo letto di Yoko Ono. 

Albert Goldman nella sua ostile biografia su John Lennon racconta a pg 392 e segg che l’ex marito di Yoko con la sua nuova moglie Melinda Kendall ottennero l’affidamento della figlia Kyoco Chan Cox. Costei era tenuta nascosta a Maiorca presso il Maharishi Yogi quando i Lennon la presero arbitrariamente in custodia correndo il rischio di essere accusati di rapimento. 

In effetti la polizia di Palma de Maiorca li bloccò per dodici giorni con tanto di sequestro del passaporto. 

Fu il manager Allen Klein a negoziare la soluzione: gli affidatari se ne andarono dall’isola in cambio di soldi in nero. Tornato a Londra John compose Imagine aggiungendo… all the people living life in peace).




domenica 18 aprile 2021

il diciannove aprile di Valdagno

 


Il 19 Aprile del 1968 alla sera, dopo una giornata di manifestazione sindacale con sciopero e presidio delle portinerie, il monumento a Gaetano Marzotto senior è stato abbattuto tra le 20 e 45 e le 21.





Una corretta ricostruzione storiografica della giornata del 19 Aprile 1968 non può che passare attraverso l’esame di alcuni documenti. In primis il documento il rapporto del Commissario alla Pubblica Sicurezza. SI tratta del DOCUMENTO ALLEGATO alla denuncia per reati commessi da 42 persone in stato di arresto con altre cinque a piede libero.

I responsabili delle forze dell’ordine in quella giornata furono il vice questore dr. Vincenzo Patania e il comandante della tenenza dei carabinieri ANDREA FOTI.

Cronaca:

Venerdì 19 Aprile 1968. Stabilimento Marzotto Valdagno (largo Margherita 1)

ore 5,00 – un plotone di carabinieri prende posizione sugli scalini della portineria e con dei cordoncini viene allestito un passaggio che ha lo scopo di garantire la libertà di ingresso a funzionari, impiegati e dirigenti durante il previsto sciopero. Dieci giorni prima in un analogo sciopero gruppi di impiegati erano andati al lavoro e gli operai organizzatori avevano annunciato pubblicamente che non avrebbero più consentito l’ingresso allo stabilimento a nessuno.

ore 6,00 gli operai che escono dal turno di notte si fermano sulla scalinata per costituire il picchetto di sciopero sindacale.

Ore 7,00 si crea un sempre maggiore assembramento su tutta la scalinata e progressivamente sul piazzale. Il tenente Foti ordina ripetutamente lo sgombero della scalinata ma non viene ascoltato e quando i carabinieri cominciano a spingere fisicamente alcune persone iniziano i primi tafferugli con urla ed insulti. Il rapporto riferisce del primo ferimento di un carabiniere da parte di una donna che lo colpisce con la borsa. I carabinieri sono totalmente accerchiati e di fatto immobilizzati da una folla che supera già il migliaio di persone. Le scalinate sono irraggiungibili a chiunque si unisca all’assembramento.

Ore 8 -  8,30 arrivano progressivamente frotte di giovani delle scuole medie superiori in solidarietà. La folla li applaude e li lascia passare su piazzale. Fonti sindacali parlano di trecento studenti. Il rapporto di polizia dice che essi siano stati fomentati a partecipare allo sciopero davanti ai cancelli delle scuole da soggetti “estranei a Valdagno”.

Ore 8.30 – 9 arrivano funzionari di polizia che però non sono messi in grado di raggiungere i carabinieri intrappolati. Si riaccendono i tafferugli sulla scalinata, alcuni dimostranti aggrediscono e picchiano con calci e pugni il tenente Foti. A questo unto i cordoncini dell’inutile passaggio lungo la scalinata sono spariti.

Ore 9 – 9.30 arrivano altre forze di polizia. I funzionari di polizia ordinano la prima carica. E’ in questo momento che la massa operaia, composta da migliaia di valdagnesi reagisce inaspettatamente contro le forze di polizia. Ogni ordine di assembramento viene disatteso con fermezza e la carica non sortisce effetto.

 

L’assembramento rimane per tutta la mattinata con una lenta diminuzione che però si ricostituisce tra le ore 13 -13,30 in vista del secondo turno di lavoro.

Ore 14.30 un assembramento di oltre 500 persone presidia ancora la portineria, i carabinieri mettono in atto una “manovra di alleggerimento del servizio” ma “un gruppo di facinorosi” li assale “alle spalle” con violenza. Seconda carica di polizia.

L’obiettivo dichiarato dal vice questore Patania è quello di “strappare dalle mani dei violenti alcuni militi” e il rapporto afferma che “i funzionari riconoscono con certezza alcuni studenti di sociologia di Trento e alcuni iscritti al PSIUP DI VICENZA”.

Vi sono qui i primi due fermi che riguardano Savi Luciano e Massignani Guido i quali non sono né studenti né militanti del Psiup. L’accusa è quella di “oltraggio e violenza alla forza pubblica”.

Questa notizia re-innesca un terzo progressivo assembramento di valdagnesi davanti alla fabbrica con una dimensione ancora più grande della mattinata, che raggiunge l’ordine delle migliaia alle ore 17. A costoro si aggiungono vari rappresentanti del Consiglio Comunale ed esponenti del commercio e delle botteghe del centro. Intervengono il vice sindaco Visonà e il Professor Sergio Perin. Il loro discorso sulla scalinata contiene anche accenni di rimostranza verso le forze dell’ordine. Ma soprattutto contiene l’impegno a coinvolgere il Comune nella trattativa per comporre la vertenza e richiede il rilascio dei due fermati.

Il professor Perin e il Commissario di Pubblica Sicurezza con la confusa presenza di sindacalisti intavolano una trattativa nei locali della portineria per il rilascio dei fermati e lo sfollamento della piazza. Ma l’assembramento, lanciato con il passa parola, non si scioglie.

ORE 19 Il sindacalista della UIL Manfron e Sergio Perin riprendono la parola dalla scalinata e annunciano la definitiva conclusione della giornata di lotta invitando i cittadini e i lavoratori a tornare a casa. I due fermati, essi affermano, sono stati rilasciati.

C’è un leggero sfollamento ma molti rimangono. La questura parla di seicento persone che lanciano “grida di sedizione” contro le forze dell’ordine.

Tra le 19 e le 19,30 avviene il secondo salto di violenza della giornata perché parte una fitta sassaiola che si abbatte anche sulle finestre della sala mensa. La situazione si rivela non più governabile e il vice questore Vincenzo Patania ordina la terza carica che questa volta è molto pesante con rinforzi della Celere giunti da Padova, l’uso del gas lacrimogeno e il sopraggiungere dell’oscurità.

Lungo le vie d’accesso iniziano i caroselli dei carabinieri con pestaggi e fermi. Vengono divelti pezzi di travertino dal ponte degli operai, la villa di Paolo Marzotto, oggi sede del centro Villa Serena, viene fatta oggetto di incursioni nel giardino. Altri atti di violenza vengono segnalati nelle ville dei dirigenti.               Vi sono anche accensioni di falò, uno dei quali davanti al cancello della villa di Gaetano jr oggi sede del Centro Anziani Villa Margherita. Fino a notte inoltrata continuano le violenze e gli arresti arbitrari in varie parti della città e saranno soprattutto queste a colpire la stampa locale e nazionale dei giorni successivi.

Ma per descrivere questa parte della giornata, la più scomposta e violenta la cosa migliore è ricorrese alla descrizione che ne fece il professor Giuliano Zoso, poi onorevole. Costui scrisse al ministro degli Interni quanto segue:

“ In merito ai gravi incidenti avvenuti a Valdagno, venerdì 19 Aprile 1968, in occasione dello sciopero dei dipendenti della Marzotto … si richiama l’attenzione sua, Signor Ministro, … sul comportamento delle forze dell’ordine in occasione dei sottoindicati eventi:

a)      tra le  19,45 e le 21.00 circa, una ventina di dimostranti infrangevano i vetri della mensa aziendale;

b)      tra le 20,45 e le 21,00, a meno di un kilometro di distanza veniva abbattuto il monumento a G. Marzotto;

c)       tra le 22 e le 23 venivano compiuto atti vandalici contro il Magazzino della Lana, il Jolly Pasubio e il Ponte del Tessitore. Testimoni oculari hanno dichiarato che si trattò sempre di piccoli gruppi, che potevano facilmente essere dispersi.

Le forze dell’ordine, invece, rimasero arroccate dentro allo stabilimento e in caserma, mentre sarebbero state in numero sufficiente per un’azione dimostrativa in grado di sedare sul nascere ogni tumulto.

Tenendo presente che i primi scontri della sera cominciarono verso le ore 19,00 e che la polizia agì su larga scala solo dopo le 23.00 risulta che Valdagno rimase senza adeguata protezione per più di quattro ore.

Nel frattempo carabinieri e polizia difesero esclusivamente la Portineria del Lanificio e la Caserma, nei pressi della quale i carabinieri operarono alcuni fermi di giovani tra i 14 e i 21 anni, verso le ore 19, tre di questi venivano picchiati e malmenati prima che fossero loro richieste le rispettive generalità. Solo in un secondo tempo furono rilasciati perché manifestamente estranei agli incidenti. I rastrellamenti cominciarono dopo le ore 23. Tale ritardo implicò l’arresto indiscriminato di persone che a quell’ora erano casualmente per strada.

Questo spiega perché sono state fermate, tradotte in prigione e denunciate persone che non avevano partecipato agli atti commessi in precedenza. […]”

 

 

Il testo prosegue poi evidenziando un giudizio di “manifesta disorganizzazione” ed incapacità dei carabinieri dal quale egli, a nome del Movimento Giovanile D.C. trae “motivo di gravi perplessità sul modo con cui viene impiegata la forza pubblica.

Ma l’affermazione più significativa viene fatta nel capoverso successivo laddove egli scrive:

Infatti, al di là dell’iniziale manifesta disorganizzazione, e pur tenendo conto dell’attiva presenza di alcuni elementi estranei all’ambiente tesi a strumentalizzare in senso eversivo una vertenza strettamente sindacale, si fa strada e prende corpo il dubbio che polizia e carabinieri siano al servizio più dei privati che della comunità …”.

E conclude con una serie di considerazioni finali a supporto della richiesta che siano prese “adeguate e severe misure affinché simili azioni non abbiano a ripetersi.”

La lettera porta la data del 27 Aprile 1968. I privati qui citati non possono essere altri che i Marzotto e i loro dirigenti.

 



 

La stampa dei giorni successivi e i Marzotto si accaniranno sul concetto delle ingerenze estranee ma se anche ciò fosse stato come risultato di azioni e provocazioni infiltrate dalla polizia ciò riguarderebbe i vandalismi dell’ultima parte della giornata. Tutto ciò che è avvenuto nella giornata, compreso l’abbattimento della statua di Gaetano Marzotto sr lo hanno fatto i valligiani.









 


MAGNIFICAT, di John Rutter

  John Rutter è un direttore di coro e compositore contemporaneo di chiara fama e talento. La sua musica corale è accessibile, apprezzata ed...