giovedì 30 giugno 2016

Omaggio a Phil Ochs







Raffinato e prolifico folk-singer considerabile una specie di giornalista songwriter radicale. Fu sindacalista degli artisti televisivi in AFL-CIO. La sua miglior canzone, secondo wikipedia, è la ballata I Ain’t Marching Anymore contro la guerra in Viet Nam.



                              https://youtu.be/gv1KEF8Uw2k





Puo’ essere considerato una delle tante vittime del golpe cileno, egli infatti era in rapporti politico musicali con Victor Jara e fu sconvolto dalla sua morte per tortura nello stadio (mi riferisco al golpe in Cile).  In quel periodo era appena stato oggetto di una grave aggressione in sudafrica, aggressione che egli attribuiva alla CIA, e che era mirata al suo collo per compromettergli la voce bellissima che lo contraddistingueva. Ciò appunto lo accomuna a Victor Jara che venne torturato alle mani fino alla morte per punire il suo chitarrismo.

Altro aspetto importante della sua biografia sta nel fatto che egli polemizzò con Bobby Dylan per l’elettrificazione del folksound. Lui e Dylan erano stati molto vicini nei primi anni sessanta.

 Scrisse un pezzo sulla alluvione di Firenze, che risale al Novembre 1966.

Il mercato discografico italiano non gli ha mai dedicato attenzione, tuttavia esistono delle covers come quella di Tony Cucchiara.

Muore suicida nel 1976, un anno dopo la fine della guerra in Viet Nam. Venti giorni dopo, il 29 Aprile 1976, la deputata Bella ABZUG, parlamentare pacifista del Congresso americano tiene al Congresso un memorabile discorso di commemorazione. Quelle si erano parole di sinistra…

Su di lui vennero resi noti successivamente vari dossier FBI.



E’ una delle tante biografie che provano la continua e, haimè drammatica, manipolazione, da parte dei poteri occulti, del rock nel periodo compreso tra il 1965 e il 1975. Temevano un movimento giovanile antisistema che seppe rompere i piani di dominio globale imponendo la fine della guerra in Viet Nam.









  

martedì 28 giugno 2016

Gufatina post Brexit







E’ partito il mainstream post Brexit.
Euronews drammatizza e butta sull’ostracismo la scelta inglese. Si adombrano manovre manipolative come quella di favorire il rigurgito scozzese, ma si tratta di tatticismi.

Intanto abbiamo Renzuschino in uno dei suoi conati di opportunismo creativo.
Egli punta ad ottenere altri margini di spesa in deficit per finanziare ulteriormente lo scenario di mance elettorali necessario per non perdere il referendum. Ovviamente Holland e Merkel lasceranno fare senza tanto chiasso, ma la UE chiederà garanzie strutturali per cui l’attacco all’INPS, già pianificato al fine di reperire le risorse necessarie a ripianare/ricapitalizzare le banche, verrà scritto col sangue tra Jachin e Boaz. Prepariamoci.

Il mainstream antibritannico raggiungerà decibel da stadio. I media ruffiani verranno rifocillati e alla fine del ramadan riprenderanno le sparatorie metropolitane. Ma quello che è successo non è affatto grave come ci propongono di pensare.

Certo ci sarà instabilità e un piccolo supplemento di caduta PIL ma nella sostanza continuerà la recessione in atto, nient’altro.



Tra le buone notizie invece c’è quella iraniana: il governo sciita è disponibile a convertire in euro il montante congelato nei decenni scorsi dalle sanzioni e a negoziare in euro tutti i nuovi piani di fornitura. Tutto ciò che è stato finora imbalsamato in dollari è destinato a svalorizzarsi e la moneta statunitense perde centralità. Nello scenario energetico dopo Brexit la UE senza Uk è meno dipendente dai lacci americani e quindi si facciano alla svelta questi accordi. Questa è la novità da valorizzare.

Spero che reggano le speranze legate all’ascesa del Movimento 5 Stelle. Ovviamente non sfugga che tali successi sono entrati nella narrazione ufficiale subito dopo la visita di Di Maio nella City (dove ha ancora sede la Gran Loggia Atlantica), ma se fa dichiarazioni europeistiche in Italia mentre vota con Farrage a Bruxelles, mi cala l’entusiasmo.

E’ proprio vero: chi va col lupo impara a lupare.




domenica 26 giugno 2016

USTICA, don't forget to remember







Il miglior modo per raggiungere il Museo per la Memoria della strage di Ustica in auto è la tangenziale di Bologna. L’uscita 7bis infatti, che immette nella viabilità cittadina in via Stalingrado, permette di raggiungere, dopo aver girato in via Liberazione, la via Ferrarese che porta alla via di Saliceto. Qui, al civico 3/22, ha sede il museo presso un edificio ristrutturato dell’ex deposito dell’azienda trasporti (v. nome corretto).

L’orario estivo non è molto agibile per gli esterni che visitano Bologna al volo, l’accessibilità inizia infatti alla 17 e cessa alle 22.

Nell’edificio ci sono i resti ricostruiti (il RELITTO) dell’aereo DC9 ITAVIA abbattuto sul cielo di Ustica la sera del 27 Giugno 1980 (volo IH870).

Una visita a questo monumento al diritto di verità voluto da tanti e realizzato dalla giunta di Cofferati, permette anche un omaggio alle vittime delle quali si sentono risuonare le voci durante la visita.

 Perché ricordare la strage di Ustica

L’importanza di questo episodio costituisce un vero e proprio “top di gamma” (per usare un moderno linguaggio di marketing) perché in esso si riflettono due temi alti per coloro che non credono alla befana.
Il primo è che si tratta di un episodio ante litteram della guerra asimmetrica, ovvero WW3.
Il secondo riguarda il fatto che quella strage fu oggetto di una azione di depistaggio sistematico che presuppone una organizzazione capace di monitorare l’azione dei magistrati e precederli. Qui si vede quanto siano annichilite le magistrature nazionali dai poteri occulti e i loro bracci militari.

Quel depistaggio - di cui parla nel suo libro il giudice Rosario Priore - rivela un modello che oggi è perfettamente integrato nelle tecniche di manipolazione di sistema. Strutture militari segrete e sovranazionali esercitano per anni e anni una azione che va ben oltre al silenzio stampa, le balle mediatiche ecc. ma uccidono decine e decine di testimoni mascherando tutto da incidenti. E non uno di tali episodi viene mai chiarito. E non è un problema solo italiano.

L’esempio più agghiacciante è quello di Ramstein. La manovra che avvenne sul cielo di Ustica fu infatti vista e segnalata con immediato lancio d’allarme generale in codice dai piloti Mario Naldini e Ivo Nutarelli, morti a Ramstein. La magistratura tedesca aprì un’indagine i cui risultati non vennero mai comunicati. Il modo in cui quei due testimoni vennero eliminati non è solo una brillante prova di efficienza, ma una vera e propria epifania simbolica del potere occulto militare moderno. Naldini e Nutarelli sono morti in diretta davanti agli occhi degli europei nel momento di massima celebrazione della gloria dell'Aviazione italiana. Un gran colpo di teatro per gli iniziati, una iperbolica manifestazione di potenza occulta.

Quello della verità umiliata non è solo un problema italiano, e non è problema da dimenticare.
 Ustica col suo museo ce lo può ricordare. 










giovedì 23 giugno 2016

mercoledì 22 giugno 2016

IL SANGUE DEI BARONI, di Matteo Strukul





Nella Libera Università di Padova, una allusione narrativa al prestigioso ateneo, impera il carrierismo. Il posto di Preside della facoltà di diritto internazionale è in scadenza e la battaglia tra contendenti si svolge senza esclusione di colpi sul piano dei ricatti e della violenza.







L’autore dichiara di seguire un filone narrativo di origine anglofona: Joe Lansdale in particolare. Ma nei saluti e ringraziamenti, che coinvolgono una caterva di nomi, egli cita tra gli ispiratori nomi che non conoscevo: Victor Gischler e Allan Guthrie. Ivi egli dichiara inoltre che: ” L’idea di ambientare la storia all’università mi è venuta da Pistol Poets di Gischler, il primo academic pulp che abbia mai letto in vita mia”.

Con questa frase il nostro autore fornisce la chiave di lettura del suo libro e indica quella che penso sia la vera ragione del (relativo) successo in termini di recensioni sui grandi quotidiani. Il romanzo IL SANGUE DEI BARONI è infatti uscito un paio di mesi fa, dopo la stampa a Trebaseleghe, ed è ambientato proprio in quelle parti del Veneto centrale, ovvero Padova e la sua bassa. Ma soprattutto l’università di Padova, che Strukul parafrasa in Libera Università Patavina collocandone i locali dalle parti della Guizza.




Come ci si può rendere conto fin dai primi capitoli una lettura entusiastica di questo testo presuppone un gusto pulp e la conoscenza del linguaggio fumettistico odierno. Cose che io non ho. A me interessava solo l’aspetto relativo alla scelta dell’ambiente universitario come “universitopoli”. La corruzione e i poteri occulti. Nel plot infatti è inserita la massoneria come ambiente di manipolazione delle carriere universitarie. Ma come in un piatto cucinato male si tratta di una spezia dal gusto fuori luogo. La fratellanza è molto di più di una semplice solidarietà e non necessariamente utilizza e comanda la malavita locale.

Vi sono molti personaggi femminili e a me è piaciuto solo quello di Maria Luisa Rognoni, colei che svolge il ruolo di Rettore, perché è pulito. Quindi penso di non far parte del target di lettori immaginati da Strukul. Il sangue e il sesso infatti imbrattano tutti gli altri personaggi e ciò allontana la narrazione da una allusione realistica allo stato di corruzione della realtà italiano/veneta attuale. Siamo lontani, per capirci, dalla descrizione consapevole dei nostri mali civici che sa dare un Carlotto.

Qui siamo nel fumettismo puro, adatto ai moderni studenti universitari i quali, notoriamente, da qualche decennio non sono più attratti dalla cultura del sapere, ma dalla competizione consumistica.  E ciò si riflette nella letteratura a loro destinata. Come in questo libro. Molto splatter, niente critica e molta superficialità.


  


  





mercoledì 15 giugno 2016

Quarant'anni fa Berlinguer e la NATO





Il 15 Giugno 1976 il Corriere della Sera pubblica un'intervista di Gianpaolo Pansa nella quale il segretario del PCI Enrico Berlinguer dichiara che il Patto Atlantico può essere uno scudo utile per costruire il socialismo nella libertà. La frase chiave resterà famosa:

" Mi sento più sicuro stando qua".


Oggi sappiamo che il significato di quella frase potrebbe essere riconducibile all'attentato alla vita che egli aveva subito in Bulgaria. Ma in ogni caso si tratta di un atto politico rilevante, destinato a pesare nei rapporti internazionali.


                                                                     ***
Sull'attentato a Berlinger:

Nel libro "Berlinguer deve morire" di Fasanella e Incerti l’immagine patinata di Berlinguer viene ostentata in copertina con il nome di Veltroni, autore di una introduzione, in marcata evidenza. L’altro introduttore è Giuseppe Vacca, per il quale non c’è nessun richiamo in copertina anche se il suo testo è molto acuto. Il contenuto più importante è la rivelazione del attentato alla vita subito da Berlinguer in Bulgaria nel 1973. Un attentato reso noto da Emanuele Maccaluso ancora nel 1991, ma negato dai vertici PCI e dal suo stesso fratello Giovanni. Moglie e figli no, non lo hanno negato, e ora sostengono apertamente la versione dell’attentato.

In questo libro uscito nel 2005 si dà per certo l’attentato e si presentano nuove fonti, in articolare documenti d’archivio dell’Istituto Gramsci, atti delle inchieste Priore e Ionta/De Ficchy. Si accenna poi a qualche riscontro in commissione Mitrokhin. La novità più importante è la testimonianza di Velkof, che era in auto con Berlinguer. Da essa si ricava che gli incidenti stradali provocati venivano effettivamente organizzati dai servizi bulgari e cche c’erano ragioni interne al PC bulgaro per eliminare sia Berlinguer che il vicesegretario bulgaro. Due piccioni con una fava.

Il punto che ho trovato più interessante è l’esame dei contenuti dei colloqui bulgari il cui fallimento fu la causa che determinò il tentato omicidio mascherato da incidente.

Nel capitolo 4, vengono illustrati alcuni passaggi del colloquio (cinque ore) che Berlinguer ebbe con Zhivkov (all’epoca potente segretario dl PC bulgaro) il 1° Ottobre 1973. Essi si desumono dal verbale stenografico (di 68 pagine) consegnato a Incerti/Fasanella. I due hanno parlato di accordi/scenario di area. Le pg 46-47 illustrano in modo soffuso un dialogo su temi di intelligence nel quale i due si confidano anche giudizi sugli altri leaders come Tito e Ceausescu. In pratica a mio avviso in tale dialogo c’è in ballo l’idea di una vasta riaggregazione dei balcani (che prescinda dall’URSS) nella quale far passare infrastrutture energetiche. E si sta esplorando la possibilità di coinvolgere l’Italia che dispone delle risorse libiche dopo il golpe del ’69. E’ possibile anche che il KGB, con il quale i bulgari avevano una collaborazione strettissima, stesse preparando un upgrading dei sistemi d’intelligence e abbia deciso, proprio in conseguenza di quel colloquio, di accelerare il ricambio il Italia con Cossutta.
Berlinguer nella prima fase della sua segreteria (1972 – 75) era in ticket con Cossutta e costui aveva collaborato allo smantellamento della vecchia rete secchiana/KGB. E’ dopo il colloquio del ’73 con Zhikov che i due (Berlinguer e Cossutta) rompono, perché Cossutta diventa il potenziale riferimento alternativo a Berlinguer il quale era già in combutta con Moro. C’era la possibilità che i Comunisti italiani entrassero nel governo per via elettorale, ma il golpe in Cile dimostrava che gli americani non l’avrebbero permesso, quindi, sosteneva Zivkov, occorreva rafforzare la rete criptomilitare. Fu questo probabilmente il vero punto di rottura, anche se il libro non lo dice.

E si apre la fase che porta alla proposta di Compromesso Storico e poi allo strappo da Mosca. Lo spiega Giuseppe Vacca nella prefazione: “per il tipo di socialismo a cui il PCI guardava l’appartenenza dell’Italia alla NATO non era un impedimento, ma piuttosto una garanzia”.
Vacca poi illustra bene il quadro di ripercussioni in caso di una andata al governo del PCI: ricadute nelle relazioni USA/URSS, effetto domino nei paesi dell’est, rafforzamento del tema diritti umani i quale “colpiva alle fondamenta il totalitarismo sovietico”.






mercoledì 8 giugno 2016

Omniavulnerant: Quarant'anni fa le BR uccisero Coco

Omniavulnerant: Quarant'anni fa le BR uccisero Coco: L'otto Giugno 1976 il procuratore generale della Repubblica Francesco Coco venne ucciso in un agguato assieme agli uomini della scort...

Quarant'anni fa le BR uccisero Coco




L'otto Giugno 1976 il procuratore generale della Repubblica Francesco Coco venne ucciso in un agguato assieme agli uomini della scorta.

Si tratta del primo assassinio brigatista pianificato e realizzato con tecniche da commando al fine di uccidere e perciò segna un upgrading nello scontro con lo Stato. Ma segna anche un distacco dalle lotte operaie perchè la motivazione è legata ad una vendetta per la mancata attuazione dei termini due anni prima concordati per liberare Sossi. Con questa azione il programma di lotta BR comincia a diventare autoreferenziale.

Le BR sono in questa fase dirette da Moretti che ne ha preso la leadership dopo l'arresto di Curcio e Franceschini nonchè la morte di Mara Cagol.


                                                                    ***

La vera dinamica non è stata mai chiarita e a tutt'oggi per quello specifico episodio non ci sono brigatisti condannati. Si parla genericamente di Riccardo Dura senza ulteriori identificazioni.

Uno dei fustigatori principali per la mancata verità su quell'omicidio è Massimo Coco, figlio del giudice. Costui all'epoca dell'omicidio era adolescente  e oggi è docente di violino al Conservatorio di Genova. Ha messo nome Francesco al proprio figlio. Francesco, come suo padre.

All'epoca, come suo padre, anche lui, Massimo, aveva la scorta. In un covo BR erano state trovate annotazioni dei suoi spostamenti per le lezioni al liceo. Anche le sue sorelle avevano sofferto episodi di pedinamento e una di loro riconobbe, anni dopo Enrico Fenzi come uno dei pedinatori.

E' curioso oggi osservare che Fenzi era un docente universitario, noto dantista, ed è uno dei fondatori della prima ora delle Brigate Rosse. E' stato in galera e, forse per sua fortuna, non ha mai ucciso nessuno. In pratica è un rappresentante di quella prima leva delle Br che ormai stava per essere scavalcata. Nel Giugno '76. Una leva che aveva concepito le Br come strumento di risposta armata al pericolo di golpe. Una leva che è stata in carcere e oggi ha scontato la sua pena.

Di Massimo Coco si può trovare testimonianza in ciò che egli scrive nel libro:

I SILENZI DEGLI INNOCENTI, di Fasanella e Grippo, Edizioni BUR 2006






















venerdì 3 giugno 2016

Vatican's strong diplomacy





During the last three years Pope Francis showed a strong skill in diplomatic stuff. A diplomacy made of pray and spirituality. In short a strong third millenium diplomacy in wich you can find words of peace and hope.


But in the case of Erdogan, the Turkey's leader,  this does not works. This is because a very critical point is the true story of the Armenians people a century ago.

The international community is working to give recognition about a terrible mass assassination. But the modern Turkey, despite his disavowal of the Ottoman Empire, does not recognize those millions of deaths as a GENOCIDE and rejects that term. Erdogan Claims that there was no ethnic persecution, but that there was WW1 and the Armenians were collaborationists with the Russian enemy.


The Armenian community suffered a diaspora and today wants to recover a full national identity in the eyes of the world and calls for the recognition of the GENOCIDE just like the Holocaust.
The Vatican’s attitude is favorable and Erdogan's tones were controversial.

This constitutes a bad premise for the apostolic journey of three days that could take place next June.









MAGNIFICAT, di John Rutter

  John Rutter è un direttore di coro e compositore contemporaneo di chiara fama e talento. La sua musica corale è accessibile, apprezzata ed...