mercoledì 13 aprile 2016

Banda della Magliana, quarant'anni fa







Quarant’anni fa in questi mesi stava prendendo corpo uno degli esperimenti di contropotere criminale integrato più importanti nella nostra storia. Si tratta dell’organizzazione passata alle cronache col nome di Banda della Magliana (BdM). Ma non era una banda criminale, fu oggettivamente il braccio armato di un sistema di potere molto ampio ed efficiente. Un sistema del quale i banditi borgatari fecero più o meno consapevolmente da “STANZA DI COMPENSAZIONE”; secondo una definizione presente negli atti parlamentari.

 

 

Il rapimento e l’assassinio del Duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere è il decollo della Banda della Magliana. Procurerà entrate per un miliardo e mezzo

 

Il rapimento prende avvio, dopo circa un mese di preparazione, il 7 Novembre 1977 e si conclude il 4 Marzo 1978 quando Giuseppucci consegna ai complici i soldi del riscatto. Egli viene informato solo in tale circostanza dell’avvenuta uccisione del sequestrato e possiamo osservare che tale conclusione repentina del sequestro costituisce occasione fortuita perché permette di evitare tutte le complicazioni legate al sequestro Moro che avrà inizio solo 12 giorni dopo.

Il Giuseppucci, detto anche “er negro” oppure “er fornaretto”, è la figura più autorevole della banda ed è colui che ha concepito e pianificato il sequestro portando a termine le trattative.

Il giudice Fernando Imposimato, al quale vennero da subito affidate le indagini, ricostruisce nel suo libro “l’Italia dei sequestri”, alla luce dei suoi ricordi e delle dichiarazioni rese nel 1992 da Maurizio Abbatino, il ruolo avuto all’epoca da Giuseppucci. Come è noto la spartizione del malloppo avviene tra i componenti della Banda con il criterio della “stecca para” coinvolgendo i componenti di un’alta banda (Montespaccato) nella gestione del rapito.

Il giudice Imposimato intuì già all’epoca un possibile collegamento tra BdM e sequestro nonostante le modalità operative dei rapitori si rivelassero diverse, sconosciute e meno superficiali di quelle usate dagli altri soggetti dell’epoca come i marsigliesi.

La sede “legale” della Banda era infatti situata in via del Gesù n 62 e risultava affittata a Domenico “Memmo” Balducci noto usuraio che si rivelerà successivamente anello di congiunzione con Pippo Calò. Ad affittarla a tale personaggio era stato un esponente dello stesso casato del rapito, il marchese Vittorio Grazioli Guglielmi Lante della Rovere (il proprietario dello jacht dove Vittorio Emanuele di Savoia sparò a Dirk Hamer). E pertanto Imposimato si accinse da subito ad indagare negli ambienti familiari alla ricerca di tracce che rivelassero un possibile basista.

Egli trovò reticente il figlio Giulio Grazioli e ne approfondi la figura scoprendo che frequentava un “brillante coetaneo”, tale Enrico, gestore di una sala corse avente come guardia del corpo “er Negro” (Franco Giuseppucci appunto). Per questa via (Giuseppucci-Enrico- Giulio) erano trapelate le informazioni relative al fatto che il Duca aveva ricevuto un lauto risarcimento per l’esproprio di terreni sulla via Salaria ove sarebbe nata un’autostrada. Era da questa informazione che partiva la stessa idea del sequestro …

 

Il figlio Giulio comunicava via Enrico con Giuseppucci, condusse la trattativa dribblando la polizia, ridusse l’entità del riscatto passando dai 10 miliardi della prima richiesta a 1,3 della consegna. Con la morte del padre egli ereditò i beni, compresi i miliardi rimanenti dopo l’indennizzo per esproprio. Quest’ultimo dettaglio Imposimato non lo dice, ma spiega chiaramente di aver seguito la pista finanziaria per tutto il periodo successivo creando molto disturbo nell’ambiente finanziario romano, quello per capirci che porterà negli anni successivi alle tragedie Sindona e Calvi.

Giuseppucci organizzò per compartimenti la gestione dell’operazione, un modello caratteristico delle organizzazioni clandestine di lunga durata. Organizzazioni cioè che vogliono resistere alle controffensive dello Stato. Ma potrebbe anche avere solo preso in prestito il modello per applicarlo occasionalmente. Sta di fatto che la compartimentazione ha funzionato al punto tale da tagliare fuori lui stesso da una decisione chiave dell’operazione, ovvero quella di sopprimere il rapito.

Ma la storia della Banda della Magliana si caratterizza perché lo Stato, nella sua parte occulta (servizi e poteri) viene in realtà cooptato in un rapporto osmotico al cui interno avviene lo scambio tra la banda e i portatori di trame illecite.

In pratica gli specialisti della BdM fanno i dirty triks e in cambio lo Stato fornisce tutele occulte.

Inoltre la BdM adottò fin dall’inizio una politica di integrazione con Mafia, ‘Ndrangheta e Camorra, ma anche con Vaticano, finanza criminale, NAR e Servizi Segreti. Una politica che verrà poi progressivamente sviluppata da Danilo Abbruciati e Renatino De Pedis., Tanto che dopo la morte di Giuseppucci, nei primi anni ottanta l’integrazione sarà totale.

Le prove sono molte. Innanzitutto il deposito di armi degli anni d’oro: i sotterranei del ministero della Sanità. In quella parte che confina con il territorio formalmente appartenente allo Stato Vaticano. Da lì provenivano le stesse pallottole usate per omicidi riconducibili a regolamenti interni BdM, ma anche Pecorelli e Chicchiarelli due eliminazioni funzionali alla copertura di trame occulte. Poi abbiamo gli incontri sistematici con Semerari, il quale teneva seminari sull’eversione nera ove venivano pianificate azioni dei NAR. Semerari agiva per conto dei servizi segreti e forniva servizi di tutela giuridica a criminali organizzati e comuni comprese perizia lautamete pagate da organi dello Stato. Infine la clamorosa e azione armata compiuta da Danilo Abbruciati contro il vicepresidente Rosone del Banco Ambrosiano durante la vicenda Calvi. Una gambizzazione realizzabile solo da qualcuno in contatto con Mafia e Servizi, una azione dal tutto estranea agli scopi e agli interessi della BdM.

 

 

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