Lettura
L’introduzione promette un libro di storie narrate senza enfasi o ipocrisie patriottistiche.
Per quanto
attiene al ruolo dell’intelligence italiana, allora ai primordi e in via di
formazione, il periodo della neutralità del 1914 serve a preparare l’entrata in guerra
dalla parte della Intesa.
Il contesto di segretezza in cui le operazioni
vengono svolte permette di farlo senza uscire dalla Triplice alleanza della
quale l’Italia continua a far parte. Si arriva quindi al 1915, anno che dà il
titolo al libro. In quell’anno con l’entrata in guerra dell’Italia contro
l’Austria prende avvio un massacro che dimostra tutta l’impreparazione e
l’inadeguatezza militare del nostro Paese che si troverà alla fine con un
drammatico bilancio: circa 600.000 morti italiani, 500.000 invalidi e mutilati,
60.000 prigionieri di cui si è persa ogni traccia. Il tutto in un fronte che ha
visto ammassati 5.600.000 italiani.
L’alpino
spia.
Tullio MARCHETTI è il filo conduttore della narrazione.
Ufficiale degli
alpini di stanza nel nordest d’Italia percorre e ripercorre i confini come capo
dell’Ufficio Informazioni 1^ armata Verona per mappare i futuri scenari di
guerra. Raccoglie informazioni sui movimenti che avvengono oltreconfine e si
avvale di una rete di informatori che scrivono cartoline e lettere cifrate di
vario genere.
E’ un trentino di
Bolbeno, irredentista convinto. Negli anni recedenti il conflitto le
associazioni culturali e sportive con la scusa di innocue biciclettate
realizzano veri e propri raduni patriottici che forniscono i suoi agenti.
Il Club
Alpino Italiano e la SAT (società alpinisti tridentini) fanno in modo che “l’andare
per montagne era come esercitarsi in una palestra di patriottismo”. Dalla SAT
Marchetti ottiene la chiave dei rifugi che gli permette un notevole lavoro di
mappatura e fotografia. Ma anche un sistematica opera di reclutamento che tra
il 1875 e 1915 fornirà, servendosi della Unione Ginnastica, del Veloce Club e
varie bande musicali, tutto il vivaio di informatori e spie.
Ecco un paio di vicende che mi hanno particolarmente stimolato ed incuriosito.
Nel Marzo
del 1916 l’Ufficio Centrale di Informazioni registra nel clima del Paese una
situazione di criticità politico-sociale e diffonde una nota che segnala un
pericolo per il ministro dell’interno Orlando.
Alla base del pericolo starebbe
il fatto che nell’esercito un particolare settore di ufficiali non si sente
sicuro e degnamente rappresentato. L’ufficio si concentra in particolare nel
monitoraggio della massoneria di palazzo Giustiniani. Il controspionaggio
controlla e documenta ogni riunione. Si teme che nel Grande Oriente si scateni
l’attivismo terroristico repubblicano. “Si prospetta una alleanza tra massoni
repubblicani, socialisti interventisti e una parte dell’esercito vicina ai
Fratelli” lo stesso Giolitti, seppur emarginato, lamenta il pericolo di un
governo militare antiparlamentare.
In tal contesto Cadorna nella primavera del
17 avrebbe giocato un’intentona conclusasi con la sostituzione del capo dei
servizi segreti. In ogni caso secondo la ricostruzione del libro, Cadorna
arriverà al massacro di Caporetto fortemente delegittimato e circondato da
generali massoni a lui avversi.
I moti
operai della Torino del 1917, studiati da Gramsci, sono considerati come la
versione italiana del tentativo di far franare dall’interno il fronte italiano
secondo il modello russo. In proposito il questore di Torino scrive
esplicitamente usando la formula della “insurrezione armata contro i poteri
dello Stato”. Gramsci scrive in “Passato e presente” che i fatti di Torino
furono certamente spontanei a causa dalla mancanza di pane, ma tale mancanza
non fu casuale bensì dovuta al boicottaggio della burocrazia giolittiana.
Pg. 245 –
massoneria e forze armate.
Nell’Ottobre
del 1917 il crollo russo offre una opportunità di riorganizzazione strategica
per la Germania. Essa infatti col piano Waffentreu attacca il nostro fronte per
ributtare gli italiani oltre i tagliamento. Allo scopo sposta i cannoni e
spedisce migliaia di treni verso sud. E’ difficile credere che l’Italia non se
ne accorga, ma l’unica tattica che essa adotta è quella della difesa ad
oltranza. Sul Tolmino cannoni di Badoglio tacciono per tutta la notte del 24 e
solo giorno dopo ci si rende conto dell’enorme disastro militare. Undicimila
morti, trentamila feriti, mezzo milione di sbandati, ritirata da Isonzo a
Piave. La sede di Udine viene lasciata sguarnita e l’Evidenzbureau si appropria
di tutti i codici e delle mappe relative all’ubicazione delle stazioni
d’ascolto. Tra le carte vi sono anche i nomi degli informatori trentini.
Cadorna
viene sostituito con Diaz. Ciò accontenta gli alleati che non lo sopportavano
ma accontenta anche la massoneria. Badoglio era massone e perciò nonostante
fosse stata la sua armata, la 27^ a cedere per prima spezzando il fronte, egli
verrà protetto durante i lavori della commissione d’inchiesta.
Pg 249 – Ai
primi di Novembre 1917 l’Ufficio Centrale di Informazione si concentra su un nuovo pericolo interno: un
complotto golpista dei settori massonici più interventisti.
Sono repubblicani
antiparlamentaristi. Il loro comitato segreto di guerra stila liste di
socialisti e dei giolittiani da eliminare ecc. nell’ambito di un moto
rivoluzionario che proclami l’abbattimento della monarchia. Sono tanti e bene
armati, dicono i rapporti, e possono contare su appoggi capi militari e
dirigenti pubblici. Temono il rischio di una pace separata. E quindi sono quasi
certamente sostenuti e finanziati da Austria e Germania. Sono però sostenuti
anche dai grandi industriali che fanno affari con la guerra. Ansaldo, acciaierie
di Terni e Fiat sono quelli nominati dal libro, ma in quel periodo anche
Marzotto viveva di commesse militari. Qui a pagina 251 si ricorda che Ansaldo
nel 1914 aveva un patrimonio di 45 milioni di lire e alla fine della guerra il
patrimonio ammontava a 135,5 Milioni di lire.
I golpisti
fissano la data dell’attacco a Febbraio 1918. L’insurrezione, che viene
preparata nel segreto assoluto, dovrà attaccare anche il Vaticano. Le riunioni
avvengono col cappuccio e si giura sul pugnale e sul teschio.
255 – Tullio
Marchetti nel 1918 “metterà su l’Arena per seguire le fasi finali del
conflitto” e viene scelto da Diaz per la firma finale dell’armistizio di Villa
Giusti il 3 Novembre 1918.
La storia
dell’Alpino spia ha fin qui funto da leit motiv del libro. Ora l’ultima parte,
la settima, racconta della guerra dei codici.
Telegramma
Panizzardi.
E’ un episodio di fine ottocento, legato anche al caso Dreyfus. 15
Ottobre 1894 arresto del capitano francese con l’accusa di spionaggio a favore
di potenze straniere. Germania e Italia nelle settimane successive alimentano e
sostengono i giornali francesi che montano lo scandalo, mentre i principali
giornali francesi montano una campagna anti italiana. Il colonnello Alessandro
Panizzardi è l’addetto militare presso l’ambasciata italiana a Parigi e
sollecita, con messaggi cifrati, il governo italiano a smentire le voci di
contatti preliminari con Dreyfus. Il Bureau de Chiffre in poche ore individua
il codice usato: si tratta di un codice commerciale elaborato dall’ingegnere
torinese Paolo Baravelli. Un codice debole, non protetto da sovracifrature. Le
autorità francesi sfruttano il vantaggio per lasciar montare l’ostilità della
pubblica opinione contro i paesi della Triplice Alleanza, anche sacrificando
l’onore del loro capitano il quale, dopo essere stato mandato in Guyana, ile du
Diable verrà scagionato solo nel 1906.
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