giovedì 17 settembre 2015
WW1: parole del fronte
Sempre facendo riferimento al diario di Frescura, cento anni fa sull'Altopiano in questi giorni non c'erano le battaglie terribili che si svolgevano sul Carso e l'umore della truppa era ancora caratterizzato dalla llusione che entro la fine dell'anno la guerra sarebbe finita e sarebbe stata vinta con onore.
Frescura in queste settimane raccoglie varie scritte che trova sul legno delle baracche, sugli alberi o versi che vengono scritti sulle lettere. Eccone alcune:
"Viva il 1986 classe di ferro ch'è vincitore su queste terre!"
"Come vecchi fantaccini abbiamo fatto anche da alpini, scavalcando monti e collina alla vittoria si avvicina" (Questo evidentemente era un fante)
"Alla mattina alzati in piè, allor che portan caldo il caffè ecco che viene il reoplan di Cecco Beppe, porco di un can!" (Si riferisce alle sistematiche ricognizioni eree austriache)
"Romba il cannone nel silenzio altero
di minuto in minuto ammonitore
s'alza e si abbassa con bel fare altero, sotto la mano dell'inclinatore..." (Qui Frescura annota trattarsi di un artigliere)
"Quando il 305 scoppia sui sassi fa tanto rmore che rompe i timpani più bassi!"
"Quando il cannone è in movimento se non muore dalle palle muore di spavento!"
Scrivere comunque non è sempre facile:
"Quando si è in guerra è un affar mostro
quando ho la carta mi manca l'inchiostro e quando ho l'nchiostro mi manca la carta
e quando ci ho tutto bisogna che parta."
e nelle lettere, che non sono ancora tragiche, non manca l'amore ispirato:
"Quando verrò in congedo, o cara,
i nostri sospiri saran la fanfara
e senza tanta disciplina
andremo a dormire la sera per alzarsi la mattina
e passando grado come tutti i marità:
tu col grado di mamma e io di papà!"
"Altro cara non ti scrivo,
solo ti bacio il viso e la cintura,
più non ti dico per il motivo
che c'è tanto di censura!"
Sono versi "naiv" che oscllano tra l'ironia e la retorica. Sono anche ottimistici, versi scritti da soldati che sperano fiduciosi ma che ben presto vireranno nel segno tragico della morte e della totale sfiducia.
Fino alle parole di Ungaretti:
"Cessate d'uccdere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l'impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell'erba
lieta dove non passa l'uomo.
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