giovedì 15 ottobre 2015

WW1: Comitato di Assistenza Civile valdagnese






Cento anni fa Valdagno era pienamente coinvolta nel clima di guerra e si dava da fare per l’assistenza civile e la solidarietà coi soldati al fronte.


La scrittrice Annalisa Castagna, esperta in WW1, in un suo articolo del 2008 scrive che “la città, come tante altre realtà italiane, cercava di attivarsi per i suo figli, in guerra e in prigionia, attraverso dei comitati nati appunto per alleviare la pena di chi si trovava al fronte e per dare a chi si trovava in prigionia la speranza di riabbracciare la propria terra”.


Di quella attività proprio in questi giorni cominciavano ad arrivare i primi riscontri. Bairati nel suo libro “il filo di lana” racconta ad esempio che il 15 Ottobre 1915  il valdagnese G.V. (potrebbe benissimo essere uno dei tanti Giuseppe Visonà) esprime riconoscenza verso il “nobile comitato” per il pacco ricevuto. Esso conteneva un berretto, un paio di guanti, un paio di gambali e un paio di calze.

Il 19 Maggio del 1915 (5 giorni prima della entrata in guerra dell’Italia) era nato il Comitato di Assistenza Civile, diretto da esponenti delle eminenti famiglie valdagnesi quali: Marzotto, Dalle Ore, Zanuso, Gajanigo ecc. Esso aveva per iscopo, come recita l’articolo 2 dello Statuto, di mitigare i danni causati dalla guerra, in particolare l’assistenza alle famiglie dei richiamati, l’assistenza ai soldati, l’assistenza ai prigionieri e ai profughi. 
Tale comitato assunse in sé anche il compito di Ufficio Notizie, che fece da tramite tra le famiglie e lo Stato per le informazioni in particolare sui dispersi e prigionieri.


Le donne confezionavano guanti di lana, passamontagne, sciarpe e coperte. Queste venivano inviate a Vicenza e quindi al fronte.


                                                      



Il ministero della Guerra aveva in proposito emanato precise disposizioni sulle caratteristiche e i modelli di sciarpe e guanti, mentre per i prigionieri esistevano circolari restrittive sul tipo di beni da spedire. Il criterio ispiratore del ministeri della Guerra a proposito di prigionieri si dimostra alquanto sospettoso.


Mentre la Francia organizzava treni speciali scortati con viveri e vestiario, l’Italia emetteva circolari che limitavano la quantità di pane da spedire, imponeva l’uso delle tessere, vietava la spedizione di scarpe di cuoio e precisava che l’invio di latte condensato era permesso solo per i prigionieri degenti negli ospedali. 

L’unica cosa non regolamentata per i prigionieri era il tabacco.


Il risultato fu che i prigionieri italiani morti in prigionia furono circa 100.000, mentre quelli Francesi furono circa 20.000.



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