Che a Valdagno siano emersi negli ultimi tre-quattro anni segnali
di apprezzamento e speranze di valorizzazione della Città Sociale - voluta e
realizzata da Gaetano Marzotto Jr. - mi fa solo piacere.
Spero che ciò porti ad una memoria storica serena e senza
pregiudizi.
Con questo spirito ho partecipato alla serata di
presentazione del libro di Francesco Busato (I RAGAZZI DELLA RINASCENTE, ed.
MEDIAFACTORY 2015) presso la Tenuta Dalle Ore nell’ambito del progetto
culturale Dalle Ore alle Opere portato avanti dall’editore Luigi Borgo, il
quale ha presentato la serata e il romanzo enfatizzando la figura di Gaetano e
la Città Sociale.
Devo dire che qualche passaggio mi è sembrato sopra le righe,
con un eccesso di ammirazione neo-marzottiana che arriva a parlare di “tradimento”
da parte dei valdagnesi. Tuttavia è valsa la pena partecipare e anche leggere
il libro.
Sotto tale stimolo ho riletto l’articolo di Borgo su Il
Nostro Campanile n.4 Novembre /Dicembre 2015.
Egli parte subito con Montanelli sul sessantotto operaio
(Storia d’Italia), dove Il 19 Aprile 1968 viene visto come un episodio di
contestazione degli industriali “padroni” che a Valdagno anticipa i fatti del
Maggio parigino ed è animato da motivazioni di tipo marxista. Egli (Borgo)
sembra irridere al punto di vista di coloro che in tale occasione attaccavano
Marzotto intendendo Valdagno come il “caso più manifesto del dominio
capitalista sulla persona e le sue libertà”. E sostiene (sempre Borgo) che
“quella sera del 19 Aprile i capi rivoluzionari non erano operai della Marzotto
né studenti di Valdagno, ma giovani provenienti da fuori vallata.” E la frase
chiave di tutto l’articolo è quella che dice “Non c’erano i ragazzi della
Rinascente a devastare i locali della Rinascente”.
Io non lo so questo perché quella sera io, diciasettenne, non
ero nei i focolai di lotta. Ero con amici in luoghi più tranquilli ad ascoltare
musica. Quello che so è che quella fu una intera giornata di scontri molto
forti con le forze dell’ordine. Una giornata di violenze contro i valdagnesi
che si protrasse fino a notte inoltrata. Una giornata alla fine della quale la
Celere (un reparto speciale antisommossa) prese in consegna varie decine di
“facinorosi” che erano tutta gente della vallata. Operai della Marzotto. E poi
ne tenne una quarantina nelle carceri di Padova rilasciandoli a rate nelle
settimane successive fino alla composizione (transitoria) della vertenza.
La famiglia Marzotto ha sempre negato che quella rivolta
fosse spontanea e “valdagnese” e i suoi portavoce, ovvero il Partito Liberale
dell’epoca presso il Consiglio Comunale, hanno sempre sostenuto che ci fossero
dei provocatori esterni ad animare gli scontri, identificabili negli studenti
della facoltà di sociologia di Trento (i famosi “barbudos trentini”); ma tra
quei quaranta prigionieri non ce n’era neanche uno. Perché?
Temo che la quinta generazione Marzotto non troverà mai la
forza di ammettere che quelli del 19 Aprile erano operai del tutto valligiani,
quelli che lavoravano dentro i loro stabilimenti lasciandovi il sudore e la
fatica del lavoro onesto. E tra loro anche molti che abitavano nella città
sociale.
Due esempi, uno dei quali ce lo fornisce proprio il libro di
Francesco Busato: Gaetano Fioretto e Umberto Dal Maso.
Il primo, oggi scomparso, spicca per la sua bellezza nella
foto di pagina 183, la foto che ci presenta i ragazzi della Rinascente. E’ il
primo a sinistra. Costui lavorava in fabbrica, era cottimista alle confezioni e
divenne militante della Cgil, sindacato di minoranza ma molto influente in
quegli anni. Fu anche attivista del PSIUP (Partito Socialista di Unità
Proletaria) la forza politica più vicina, sempre in quegli anni, al marxismo. Egli
promosse molte iniziative “di lotta” negli anni settanta, in particolare contro
il sistema di cottimo.
L’altro, operaio tessitore cresciuto alla Rinascente, è uno
dei Rappresentanti sindacali membri dell’esecutivo del Consiglio di Fabbrica
Marzotto che svolse questo ruolo per vari decenni. A lui come a pochi altri tra
i tantissimi attivisti sindacali della Marzotto, si possono attribuire la
maggior parte delle dichiarazioni di sciopero e delle trattative sindacali
degli ultimi cinquant’anni.
Costoro sono due dei principali animatori di quel complesso
fenomeno di conflittualità sindacale e sociale che caratterizzò Valdagno per
tutti gli anni settanta e ottanta. Un ventennio di storia Valdagnese che, a
ragione o a torto, non può proprio essere definito “città dell’Armonia”.
Nessun commento:
Posta un commento