domenica 12 gennaio 2020

Prozac nation and third generation









Rileggo l’articolo apparso giovedì 9 u.s. su FQ PG 22.
A firma Vinis Gallico, redattore che incontro per la prima volta, viene pubblicata un’ampia paginata con foto dedicate alla biografia di ELIZABETH WURTZEL. Costei, ebrea newyorchese nata nel 1967, è deceduta il 7 gennaio a 52 anni. Cancro al seno. Ma è nota in occidente per aver scritto un best seller durante gli anni dell’università divenuto molto famoso: PROZAC NATION.

 Si tratta di un testo autoanalitico scritto con toni ironici e leggeri, che indaga la propria depressione. Esso corre lungo le linee della relazione esistente tra letteratura e depressione incontrando biografie illustri come Sylvia Plath e Bob Dylan. Il tema è noto e ci ricorda Mark Twain, Charles Dickens, William Faulkner e Joseph Conrad. Sconfina nelle biografie di mostri sacri alla Edgar Allan Poe e Hermann Melville fino ai più recenti Isaac Asimov e Stephen King. Tutti autori depressi.

L’articolo poi ci ricorda che il contributo della Wurtzel è stato quello di percepire e segnalare il passaggio dalle terapie psicoanalitiche a quelle farmacologiche con l’avvento della Fluoxetina (cloridrato) e più tardi del metilfenidato. Con essi la depressione passa dal lettino delle sedute al principio attivo. E ciò, aggiungo io, ha contribuito a fare la fortuna dell’azienda chimica di sintesi della quale sono stato dipendente per oltre tre decenni.

La presa di coscienza di questo passaggio è stata gestita in modo ovattato e privo di ogni eclatanza polemica in Italia. Basti pensare che il testo della Wurtzel porta nel titolo, con i suoi milioni di copie, il nome del problema: il Prozac. Ma in Italia esso è stato tradotto per i tipi della Rizzoli solo due anni dopo col titolo: “La felicità difficile”. Sic. Sarebbe come se IL NOME DELLA ROSA fosse stato pubblicato nel mondo anglosassone con un titolo tipo: omicidi in convento, oppure Cristo si è fermato ad Eboli come: “abitazioni nelle grotte del materese”, o meglio ancora FICTIONES, di Borges titolandolo: “raccontini fantastici di un biblioteconomo”.

Eppure l’editoria italiana è questo. Ma non solo l’editoria, un po’ tutto il sistema: mai disturbare il manovratore e soprattutto onorare e proteggere il culto di San Pharma. Cosa questa che prosegue ancor oggi a tutto spiano con la campagna vaccinite e la ridicolizzazione dell’approccio olistico. I padroni del nostro pensiero nazional popolare sono in realtà dei banalissimi maggiordomi dello zio Sam.

Ma tornando alla Wurtzel costei nel 1998 pubblicò un secondo libro: Bitch. Totalmente ignorato in Italia. E ancora nel 2001 More, Now, Again che tratta, ahimè, il tema della dipendenza da Ritalin. Silenzio totale.

Ormai oggi siamo alla terza generazione della prozac nation. Tra i nostri nipotini molti nascono già dipendenti dai farmaci ricevuti nell’ancestro e la cronaca ci inonda di casi incomprensibili come quello di Bibiano. Buon anno Italia, Buon 2020.








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