martedì 17 gennaio 2017

Il Canto Libero di Lucio Battisti



                                  





Il canto libero di Battisti è allo stesso tempo suggestivo e problematico. Secondo Wikypedia l’autore, Mogol, lo avrebbe scritto con intento autobiografico in un periodo durante il quale egli stava passando dalla moglie ad una compagna di indole molto più artistica e filosofica. Ciò giustificherebbe lo sfondo epico del testo. In sintesi Mogol avrebbe espresso l’emozione purissima di anelare all’amante uscendo dalla prigione mondana. Altre fonti indicano il testo come scritto a quattro mani col pieno apporto di Lucio.

Il pezzo comunque esiste e parla da solo. Si propone con versi efficaci ed evocativi in una suite di arrangiamenti che vanno dalla chitarra acustica al coro femminile. Una sessione di fiati a metà del pezzo divide la parte intimistica da quella enfatica cosicché i medesimi versi evocano metafore diverse usando, questo è il genio di Battisti, le stesse parole.

E’ uscito come ultima canzone che chiude l’album omonimo nel ’72, annata di particolare fertilità. Anche il singolo uscì, in Novembre con la produzione della Numero Uno, editrice voluta e creata da Lucio. Il 45 giri sul retro aveva Confusione. Era il singolo successivo a I GIARDINI DI MARZO. A primavera del ’73 era primo in classifica, fu il terzo 45 giri dell’anno.

L’Album invece, quello famoso che contiene anche le salite e risalite di IO VORREI, NON VORREI …MA SE VUOI con l’orchestra di Reverberi, ebbe subito successo rimanendo il primo per tutto il 1973.


Christian Zingales nel suo libro su Lucio Battisti definisce IL MIO CANTO LIBERO come un memorabile prodigio alare che si raccorda specularmente con La luce dell’Est (pg 45). E questa è una indicazione particolarmente accattivante per un approccio non conformistico al testo. Le due ambientazioni, quella della Luce dell’Est e quella del canto libero, sono infatti omogenee per continuum ambientale e di esperienza amorosa. Banalizzando si può dire che in entrambe le canzoni c’è una coppia etero che fa l’amore nel bosco, ma mentre nella prima la narrazione è esplicita, nell’ultima per cogliere il coito occorre immergersi freudianamente nella metafora epica. Una metafora nella quale il “canto libero” è solo l’angolo della segreta intimità, i bosco della verità che si offre nuda ai sopravvissuti vergini che si aprono e abbracciano…

Altrettanto banalmente si può dire che si tratta di una canzone che esprime il sentimento della destra nostalgica dei primi anni settanta, dove” il mondo che non ci vuole più” è quello del conformismo antifascista dominante in quegli anni. Ma in tale caso, se il significato del testo fosse questo, a tale mondana prigionia si contrappone un sentimento forte, eroico che si innalza altissimo e va, vola indifferente ad ogni retaggio e ad ogni accusa perché sorretto dal vero amore. E quando, finalmente, cadrà la veste dei fantasmi del passato ebbene allora avremo l’immacolato quadro della nuda verità con le sue purissime emozioni. Emozioni che si esprimono in NOI.

Questa interpretazione confermerebbe lo stereotipo creato all’epoca da un certo conformismo di sinistra, quello che voleva un Battisti che si chiede polemicamente se LA FIAMMA è spenta o è accesa, come allusione al Movimento Sociale Italiano. Ma oggi sappiamo che si tratta di una storiella meschina ed infondata, smentita da Lucio stesso nella storica intervista, l’ultima, che egli rilasciò al giornalista Giorgio Fieschi il 18 Maggio 1979 (pg. 119).

Non c’è il fascismo nel canto libero di Battisti, ma solo la libera poetica del musicista che sa comprendere lo spirito del suo tempo.


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C’è anche da dire che il disco non ebbe particolari antagonisti, almeno nell’ambito del pop italiano, perché il Festival di Sanremo, che si tenne l’8,9 e 10 Marzo del 1973, fece cilecca. La Rai litigò con gli organizzatori (Vittorio Salvetti) e non trasmise interamente l’evento. Mike Bongiorno e Gabriella Farinon presentarono sconosciuti senza storia dopo aver scartato prima di iniziare, gente come Lucio Dalla, Antonello Venditti e Ivano Fossati. 

In quel Festival non vennero però lasciati fuori due nuovi cantanti che si riveleranno interessanti: Drupi e Roberto Vecchioni. Il primo non si piazzò bene al festival, ma con la canzone “Vado Via” spopolò nei mesi successivi contrastando Battisti e conquistando il mercato estivo europeo grazie all’eurovisione. Il secondo arrivò in finale con “L’uomo che si gioca il cielo a dadi”, dedicata a suo padre.


I miei ricordi dell’epoca sono comunque più legati a LA BUONA NOVELLA, di Fabrizio De Andrè che era uscita due anni prima, ma spopolava nei meeting del dissenso cattolico, e alle peripezie rockettare valdagnesi di Aldo Menti, Nico Bonato, Paolo Rasia e tanti altri…






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