mercoledì 28 marzo 2018

Ezio Mauro su Moro: MOLTO FICTION E POCO DOCU...





In occasione del quarantesimo anniversaio della strage di via Fani, la RAI ha prodotto e trasmesso un "docufilm" firmato da Ezio Mauro, storico direttore del quotidiano La Repubblica.
Il mattino successivo a via Fani è stata inaugurata una nuova lapide che ricorda Leonardi, Ricci, Iozzino, Rivera e Zizzi morti nell'agguato. La cerimonia ha visto la presenza del Presidente della Repubblica Mattarella il quale ha partecipato silenziosamente alla deposizione di una corona.

Nella stessa occasione, alcuni minuti dopo, il Comune di Roma ha Intitolato ai Martiri di via Fani l'attiguo giardino, con un discorso dell'attuale capo della polizia Gabrieli, ex dirigente del servizio segreto nonchè della Protezione civile.

Entrambe le solennità sono ricche di senso. Ma la retorica nasconde una contraddizione: sono morti cinque servitori dello Stato in un atto terroristico che lo Stato ha lasciato colpevolmente accadere. E anzi, su quel luogo, quel mattino di quarant'anni fa erano presenti elementi estranei alle Br i quali hanno protetto e aiutato l'azione terroristica affinchè avvenisse, come avvenne, in modo perfetto.

E' ancora presto per dire che il 16 Marzo morirono cinque servitori dello Stato per mano dello Stato, ma ciò che emerge dalle commissioni di inchiesta punta sempre di più in quella direzione.


                                                          **

Di seguito commento il "docufilm" di Ezio Mauro





Il titolo IL CONDANNATO, cronaca di un sequestro è poco attinente al contenuto, che è pieno di interviste e giudizi d’opinione. E’ il classico titolo depistante, che non prende posizione al fine di accattivare ogni tipo di pubblico: i curiosi, gli ignoranti e gli esperti. Mentre in realtà nel contenuto fa una scelta precisa, ovvero quella di non raccontare la cronaca, ma la versione ufficiale.       
Si accenna saltuariamente a tesi diverse ma solo per contestarle o sminuirle, mai per illustrarle.  Il punto è che non si capisce ne chi sia il condannato, né chi sia il soggetto condannante. Se Mauro avesse voluto prendere posizione avrebbe potuto scegliere qualcosa come “MORO: il complotto della Repubblica”, oppure: “MORO: il terrorismo e la condanna”.


Il primo ospite è Nicola Rana. Costui racconta di aver subito preso contatti con il generale Dalla CHIESA E Gianni Agnelli per aprire un varco su ipotetica disponibilità di danaro. Poi arriva Adriana Faranda. Il trucco e la location dell’intervista sono modesti non c’è contenuto seduttivo nell’immagine ma la capacità dialettica e l’apparente genuinità della intervistata risultano accattivanti e molto convincenti. Mauro guida le domande a smentire alcune ombre complottiste senza però richiamarle espressamente e così tutta la narrazione si consolida sulla linea del memoriale Morucci/Faranda del 13 Marzo 1990. Ovvero la verità di comodo concordata tra Stato e BR.

L’unica affermazione importante della Faranda è che per le vittime di via Fani “non era stato preventivato alcun colpo di grazia”. L’affermazione tende ad attenuare l’efferatezza delle Br, ma al tempo stesso evoca la possibilità che in va Fani sia accaduto anche qualcosa che le Br non avevano previsto. Tale affermazione non esclude, anzi evoca surrettiziamente, la possibilità che sulla scena della strage vi possano essere stati altri soggetti operativi. O è una svista o una cripto-minaccia di una esperta comunicatrice che lancia un messaggio all’establishment: guardate che le BR potrebbero anche dire di più.


Quindi è il momento di Luciano Infelisi, magistrato. 77 anni ma ne dimostra 90 con una espressione stravolta dalla sofferenza e dal rancore per come la vicenda venne gestita dai politici del l’esecutivo, dai quali vennero chiaramente e sistematicamente tagliate fuori le autorità inquirenti. In particolare su via Gradoli. Infelisi lascia ben capire che la perfezione della sparatoria evoca un livello superiore a quello dei brigatisti. Ma Mauro sfuma e sulla gestione delle indagini evita attacchi diretti a Cossiga anche se costui (all’epoca ministro degli interni) è chiaramente il convitato di pietra.

Lanfranco Pace, che ebbe ruolo chiave nella trattativa segreta tra i socialisti e la componente Moretti/Faranda viene presentato come dirigente di Potere Operaio, non si dice che all’epoca faceva parte organica del movimento eversivo armato Autonomia Operaia. Ma oggi fa il giornalista e cane non mania cane.

Quindi è la volta di Giovanni Moro, vittima del terrorismo in quanto figlio del Presidente democristiano e testimone commentatore non allineato con la narrazione ufficiale. Per attenuare rischi di ostilità nell’intervista viene presentato come sociologo. Il tono è fermo ed austero ma si limita a rispondere alle domande lasciando a Mauro la piena conduzione del gioco.
Gladio entra in campo attraverso un pezzo d’archivio nel quale Giovanni Pellegrino (Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta) commenta il comunicato n° 5 e l’annessa lettera di Moro a Taviani chiarendo che in essa Moro accenna a Gladio. Più avanti un altro pezzo d’archivio di Pellegrino commenta un biglietto di Moro dalla cui esegesi si evincerebbe che le Br a trattativa fallita avrebbero promesso la sepoltura a MORO. (Sarebbe un aspetto non secondario della vicenda ancora da chiarire. Spiegherebbe perché le Br lo abbiano consegnato alla famiglia affrontando tutti i rischi a ciò connessi)

Quindi Napolitano, il quale era in USA durante i 55 giorni, ma il servizio si sbraca a precisare che si tratta di una casualità dovuta agli statunitensi.

Torna in campo Infelisi nelle cui parole a commento della vicenda relativa al falso comunicato n°7 redatto dal falsario Chicchiarelli, componente della banda della Magliana (cioè un ramo del servizio segreto di Andreotti), appare chiaro che a quel punto la magistratura romana sospettava un complotto (dei servizi).
Dell’acqua che fece trovare il covo di Moretti e Balzerani i giornalisti seppero prima di Infelisi.
Anche il dialogo Pace /Faranda venne nascosto (illegalmente) ad Infelisi. Tale dialogo avrebbe prodotto (secondo il servizio di Mauro) la rottura interna alle BR spiegata in termini di scontro generazionale tra Morucci e Moretti (sic).

 E' chiaro a questo punto che il cosiddetto docufilm sul piano dei contenuti narrativi è fermo a qualche lustro fa e di tutta la documentazione scaturita dalla commissione parlamentare Fioroni, con le sue tre relazioni, non si tiene conto. Forse non sono seanche state lette.
Nell’ultima parte torna la Faranda la quale, dopo aver mostrato sofferenza umana per il fallimento della trattativa e quello della sua linea (assieme a “Valerio”) contraria all’esecuzione, ribadisce la balla anticomplottista secondo la quale a mettere la sabbia sui pantaloni di Moro sarebbe stata lei stessa con Balzerani allo scopo di depistare gli inquirenti. Il servizio aggiunge al racconto immagini di spiagge con barche capovolte e non fa altre domande, come invece vorrebbe il mestiere del giornalista.

Qui abbiamo la caduta di stile perché, nonostante la perizia anatomica sia agli atti, Mauro non chiede alla Faranda altri chiarimenti.

Vi è infatti contraddizione tra i risultati dell’autopsia e questa versione. L’autopsia infatti non si limita a segnalare il ritrovamento della sabbia, ma nota anche il colore abbronzato delle parti corporee normalmente esposte alla luce. Inoltre la muscolatura era solida e non atrofizzata come se si trattasse del corpo di una persona che aveva fatto lunghe passeggiate sulla spiaggia. E soprattutto quale spiaggia? La perizia ha dimostrato trattarsi di sabbia proveniente dal Lido Palidoro mentre Faranda e Balzerani parlano del Lido di Ostia. 

                                                       ***

Ha quindi ragione Giovanni Moro: “La questione non è chiusa”
E soprattutto aveva ragione suo padre: “Se ci fosse luce sarebbe bellissimo”.




http://omniavulnerant.over-blog.it/








Nessun commento:

Posta un commento

DSP alle europee

  Alla fine della campagna di raccolta sono state consegnate 60mila firme. Non bastano ma sono state un’ottima occasione per parlare con la ...