mercoledì 27 luglio 2016

Trump contro Hillary, da che parte sta il nuovo?









Nella settimana in cui la Clinton arranca per ottenere la nomination democratica su IL GIORNALE è uscita una breve monografia su Donald Trump. E non è l'unica. Altri giornali e talk show internazionali lo hanno fatto.
L’occidente si accorge di aver perso tempo e sottovalutato clamorosamente il nuovo protagonista della scena politica mondiale. Da qui la necessità di costruire alla svelta un po’ di biografia nel tentativo di prevenire l'impatto. 
Un paio d'appunti.



   
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La discendenza patrilineare di Donald è tedesca. Il nome tedesco “Drumpf” è stato infatti anglicizzato in “Trump” ancora tre generazioni fa dal primo avo immigrato durante la corsa all’oro.
La madre invece era scozzese. Il nome Mary Ann McLeod non lascia dubbi in proposito. E di queste due discendenze il nostro Donald preferisce quella scottish, evidenziando che nelle sue vene non scorre alcun sangue anglofono. Inoltre ha molti possedimenti in territorio scozzese dove i suoi famosi campi da golf vengono frequentati da molti turisti di provenienza UE.

Si tratta quindi di un figlio di immigrati che ha avuto successo arricchendosi vertiginosamente secondo lo schema tipico dell’american dream. Dal get rich quik dei cercatori d’oro al real estate developer della Trump Tower.



                                                        




Ma non è esatto dire che si è fatto da sé. E’ stato il padre di Donald ad avviare il processo di arricchimento. Il figlio lo ha portato alle stelle. E ora si prende la politica come Berlusconi.E com quest'ultimo non ha mai detto finora cosa farebbe delle sue aziende una volta eletto. Un conflitto di interessi che in America dovrebbe contare molti più che in Italia...




Donald Trump è autore di vari libri tra i quali il best seller Art of the Deal uscito nel 1987. E’ conosciuto quindi come un abile negoziatore, uno che risolve i problemi nelle trattative con ottimismo, astuzie e bluffs. Ostenta una vera e propria filosofia che guarda al denaro come un gioco e pedagogizza messaggi come Why We Want You to be Rich (Perché noi vogliamo che tu diventi ricco).

Ma il suo messaggio elettorale numero uno è lo stop alla immigrazione. Bisogna far costruire, a spese del Messico, un muro gigantesco. Inoltre occorre riattivare il corpo forestale frontaliero per i respingimenti al confine. I clandestini vanno rintracciati e riportati al paese d’origine per passare dallo ius solis allo ius sanguinis. La cittadinanza americana verrà concessa soltanto a chi se la merita.

Questa politica è in contrasto pieno con la prassi e coi principi americani, ma pare sia efficace.  

Islam No Grazie. Bloccare l’immigrazione clandestina e ripristinare le quote. Porte chiuse a coloro che provengono da paesi ove esiste il reclutamento Jihadista.

E' il rovesciamento della prassi e dei principi americani. Una cosa che si spiega solo col rifiuto totale dell'ipocrisia connessa al politically correct. Un linguaggio enfatizzato dai vecchi media che oggi funge da lasciapassare a messaggi come questi e Trump trionfa annichilendo tutto il vecchio esthablishment repubblicano.


Infine un paio di considerazioni sulla sua politica estera.

Il motto della sua campagna - ci ricorda Guzzanti - è breve e incisivo: rifare l'America di nuovo grande. Come? Donald è un improvvisatore e parla di abolire la NATO. Una alleanza militare anacronistica che oggi costituisce de facto solo una minaccia contro la Russia e costa centinaia di miliardi solo per difendere gli altri. Sarà per questo che piace a Putin.


Sistemarsi coi cinesi. Niente guerre, ma basta con la dipendenza finanzaria dalla Cina che possiede mille e trecento miliardi di dollari del debito USA. Occorre ridurre, annullare il debito pubblico per togliere loro spazio di manovra. Basta col NAFTA e niente TTIP. Viva la Brexit.

E' evidente che il trumpismo non è ancora una politica estera coerente, ma solo un messaggio emotivo per scuotere l'elettorato.




 Che cos'è quindi il fenomeno Donald Trump? E' ancora presto per dirlo, ma attardarsi può essere letale.


La totale incomprensione del significato sociologico connesso al successo elettorale di Trump e la tendenza ad una lettura stereotipica dei processi politici in atto in occidente, rischiano non solo di far perdere la presidenza ai democratici, ma di farci travolgere da un populismo mediatico di natura patologica tale da mettere a rischio lo stesso impianto democratico della compagine occidentale. Ce lo ricorda Guzzanti quando cita una vignetta di Staino all’Unità dove si dà per inevitabile il futuro passaggio da Trump al nazismo. Una banalizzazione che, pur individuando un certo rischio, lo ridicolizza togliendo credibilità al messaggio stesso. Un esempio di impreparazione di tutto l'occidente. Si passa dalla sottovalutazione alla drammatizzazione invece di ragionare sulle cause di questo populismo, vero sottoprodotto mediatico 2.0.









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