martedì 29 novembre 2016

Referendum: per un NO sul merito (6)









In queste settimane di campagna referendaria ho cercato di osservare il comportamento delle parti. Mi pare di poter cogliere una prima tendenza comune: poco merito e molta empatia. Le informazioni sul merito possono risultare difficili e anche noiose per cui si picchia di più sull’empatia verso Renzi (sia pro che contro), sulla “riduzione delle poltrone” e sulla necessità di cambiare le cose.

L’informazione sul merito è stata centrata soprattutto sui contenuti già esposti nel titolo della legge.  Dalle file del NO sono state promossi dei ricorsi contro il quesito ritenuto di fatto uno spot elettorale per il SI. Ma queste iniziative si sono rivelate controproducenti perché il quesito non riportava il titolo della legge in modo scorretto e se il titolo non fosse andato bene avrebbe dovuto essere il dibattito parlamentare a suo tempo a modificarlo. Quindi il titolone/quesito da taglio populista è passato ed ha rappresentato una mossa efficace per il Si.

Il focus del dibattito è stato il tema dell’accentramento e della personalizzazione. Ne parlano sia quelli del SI, argomentando che su materie come l’energia, la sanità ecc. l’accentramento dà risparmio ed efficienza, sia quelli del NO argomentando che così si riducono gli spazi democratici e non si colgono le differenze. E sulla personalizzazione il dibattito è falsato dal fatto che essa dipende soprattutto dal tipo di legge elettorale. Ma così sono stati tralasciati altri temi importanti come, in particolare, la marginalizzazione delle opposizioni, la clausola di supremazia e alcuni aspetti considerati ingiustamente dei dettagli come la dichiarazione di guerra.


Il primo aspetto viene colto da Zagrebelsky che ne parla nelle pagine 70 – 75 del suo libro.

La riduzione dei seggi operata dalla riforma altera, ovviamente, i rapporti numerici tra maggioranza e opposizioni in parlamento, ma con essi altera anche i rapporti di forza. A parità di risultato elettorale infatti la maggioranza diventa più schiacciante. Per l’elezione del Presidente della Repubblica ad esempio, che avverrà in seduta comune Camera e Senato, passando gli aventi diritto da 1008 a 730 la percentuale di maggioranza passa dl 33,7% al 46,6.%. Ciò comporta che all’inizio, quando sono richiesti i due terzi dei componenti, basteranno 485 voti e alla fine, dopo il settimo scrutinio, ne occorreranno 400 (formando una maggioranza del 54,8 %). Inoltre, osserva Zagrebelsky, il nuovo ordinamento farà riferimento, dal settimo in poi, ai “votanti” anziché ai “presenti” agevolando i tatticismi parlamentari, che sono l’esatto contrario della trasparenza. “In estrema ipotesi” dice Zagrebelsky a pg 72, “poiché gli organi parlamentari operano come minimo alla presenza della metà più uno dei componenti, sarebbero sufficienti i tre quinti dei 366 votanti, vale a dire 220 consensi

Questo per il Presidente della Repubblica, ma in altri casi come il CSM considerando che al Senato il partito che ha la maggioranza alla Camera potrebbe avere la metà dei senatori, si potrebbe avverare il caso in cui la maggioranza può procedere da sola.
Ora, in questo quadro di alterazione degli equilibri numerici, le materie di competenza di entrambe le camere vengono ridotte. E si arriva all’estremo che la stessa dichiarazione di guerra, oggi competenza di entrambe e camere, verrebbe in futuro decisa dalla sola maggioranza assoluta della Camera ovvero, Italicum docet, dal primo partito da solo. Questa cosa, mi sovviene, non se la poterono permettere neanche il primo ministro Salandra e il Re d’Italia per entrare nella Prima Guerra mondiale. 
E inoltre, art. 60, durante la guerra si potranno rinviare le elezioni con legge ordinaria (316 voti).






 Antica saggezza veneta: 

                                               chi gà più bò, tira fora el caro.
                                          (la maggioranza è sempre prepotente)
                                        roba vecia more solo in casa de cojoni.







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