giovedì 18 agosto 2016

Referendum: per un NO sul merito (3)








Il punto centrale della proposta di revisione costituzionale contenuta nel ddl Renzi Boschi riguarda la composizione del Parlamento.

Il nuovo Parlamento rimane bicamerale, il Senato non viene abolito ma modificato e la Camera rimane composta dai 630 deputati. Il nuovo testo lascia infatti inalterato l’art. 56 della Costituzione oggi vigente.

Si interviene invece pesantemente sull’articolo successivo, il 57 (e su altri a cascata) stabilendo di scendere da 315 senatori a 95 dei quali 22 provenienti dai sindaci e 73 dai consiglieri regionali. Quando scade il mandato dell’organo territoriale di provenienza scade anche il mandato senatoriale.



Questo è un punto delicato e un po’ complicato.  Ricordo che qui siamo nella Parte Prima I della Costituzione, che si occupa dei diritti e doveri dei cittadini. Per approfondire è opportuno leggere il sinottico dei due articoli 57 (quello vecchio e quello nuovo) alle pagine 86 e 87 del libro di Zagrebelski. Qui mi limito a sintetizzare il significato di fondo. L’articolo passa da quattro a sei commi con profonde modifiche. Si abroga l’articolo 58 che stabiliva che i senatori vengono eletti a suffragio universale e diretto. L’intervento determina soprattutto un cambiamento delle modalità di scelta dei componenti del nuovo organo senatoriale, eliminando la facoltà di scelta diretta da parte dell’elettore stabilendo invece – nota efficacemente Zagrebelsky -   un “filtro regionale”. O meglio i cittadini indicheranno i futuri senatori indirettamente. I Consigli regionali infatti indicheranno scegliendo al proprio interno, quindi tra persone elette, i due rappresentanti (per ciascuna regione) da mandare a Roma. Tralascio i sindaci e i senatori a vita. Ci sarà una apposita legge elettorale bicamerale a stabilire il dettaglio della nuova disciplina. Il nuovo meccanismo partirà solo dal 2022 perché serviranno una serie di tempi diciamo “tecnici” d’assestamento.



Il punto contraddittorio di questa operazione riguarda la NATURA della rappresentanza senatoriale. Il futuro senatore infatti rappresenterà la Regione (intesa come entità istituzionale) da cui proviene o il popolo italiano? Nel primo caso si apre un conflitto con l’ordinamento regionale vigente perché l’art. 121, c.4 della Costituzione dice chiaramente che è il Presidente della giunta regionale (nel caso Veneto Zaia) a rappresentare l’istituzione territoriale; nel secondo caso il fatto di non essere eletto direttamente diventa pesante.

L’art. 55 (anch’esso da leggere in sinottico) ripete il comma 1 della Costituzione attuale ribadendo che “Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, ma aggiunge altri quattro nuovi commi dei quali il n. 5 specifica che il Senato rappresenta le istituzioni territoriali.  Ora è solo negli ordinamenti federali che la rappresentanza è esercitata, oltre che dal popolo, dalle entità territoriali federate.

Per me c’è confusione: l’Italia non ha e non avrà (soprattutto se passa il ddl Renzi Boschi) l’ordinamento federale e quindi ad esercitare il ruolo della rappresentanza nazionale rimarrà solo il popolo attraverso la Camera dei deputati. E un senato che rappresenta le Regioni dev’essere solo il luogo di confronto delle posizioni regionali, senza partecipare al processo legislativo.



Per chi, come me, vedrebbe con simpatia una ristrutturazione federalista del nostro ordinamento rimane solo la delusione. Questo intervento sul Senato è solo inutile, contraddittorio e confusionario.







Antica saggezza veneta:



                 Se volì vedare el diluvio universal, metì dodese preti a tola a disnar”.






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